Alessandro Borghi come un libro aperto nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Il libro, in questo caso, è quello della sua vita: i suoi inizi, le sue paure, le sue incertezze che sono sempre state parte del suo percorso, soprattutto in campo professionale. Tra tutti i lavori svolti in giovane età, non ha mai pensato di poter fare l’attore: “Non ci pensavo. Poi, mi fu regalato un libro, ‘Il potere di adesso’. Mi si aprì un mondo, quello dello stare nel presente. Uscivo da una delusione d’amore ed era un momento di estrema povertà, non avevo una lira, facevo solo lavoretti, però ricordo che quando la sera andavo in macchina fuori Roma per fare il sorvegliante notturno in un palazzo a specchi ero felice come un bambino. Vedevo la vita bellissima anche quando facevo il commesso fino alle 18 e subito dopo il cameriere fino alle due di notte”. Borghi non pensava minimamente di poter fare l’attore nemmeno quando faceva lo stuntman oppure quando a 18 anni s’imbucò a un David di Donatello o quando suo padre lo filmava di continuo nella sua quotidianità. Ma ora che attore lo è diventato e sul serio, si sente di dare dei consigli ai giovani che vogliono intraprendere questo percorso. Proprio qualche settimana fa, sul suo profilo Instagram, aveva scritto “lo dico soprattutto ai ragazzi che provano a fare il mio mestiere, facendo tre lavori: le cose belle accadono”. “L’ho scritto tornando da Los Angeles – afferma – Peter Mullan mi aveva appena raccontato di quando Ken Loach, sul set di ‘My name is Joe’, gli disse: ricordati di essere sempre la persona meno importante nella stanza. Quella frase mi rimbombava in testa facendomi pensare a tutte le persone da cui ho imparato qualcosa, come Claudio Caligari e Valerio Mastandrea quando abbiamo girato ‘Non essere cattivo’, Peter Mullan o Charles Dance sul set di ‘The Hanging Sun’. Tutte avevano un ego basso: per loro, comunicare aveva a che fare solo col trasmettere informazioni, mentre a volte ci facciamo sovrastare dal voler dimostrare di essere i più bravi…“.
“Al primo ciak – continua nell’intervista – avevo 18 anni e Sollima mi scelse per ‘Suburra’ a 28. Dopo dieci anni nell’ombra cercavo rivalsa. Tipo: ora vi faccio vedere quanto vi siete persi”. La bellezza è stato un fattore importante nella sua vita, anche se ben presto ha compreso la sua relatività: “Per tutta la vita mi hanno detto: hai occhi bellissimi. E io ero convinto di avere gli occhi più belli del pianeta. Poi, crescendo, ti dici: che deficiente ero. Di brutto avevo anche che prendevo in giro gli altri in un modo mutuato dall’ambiente popolare da cui venivo. Le parole hanno un peso. L’insulto fa male. È successo pure a me. A lungo ho pensato di avere dei tic, invece era Sindrome di Tourette. È una sindrome neurologica, con vari sintomi: io ho gli spasmi o mi soffio sulle dita. Dopo la diagnosi ho smesso di considerarlo un problema, perché almeno adesso so che cosa ho”. Una figura fondamentale nella sua vita è la compagna Irene Forti (manager delle risorse umane con degli studi a Londra ndr). “Ne sono profondamente innamorato. Mi dice sempre: amo le persone che si alzano la mattina e sanno chi vogliono essere. Questa frase è diventata un’ispirazione. Ogni giorno mi chiedo: io cosa voglio fare per me, per gli altri, per questo mondo? La risposta non c’è, ma la domanda in sé attiva un processo che mi costringe ad avere a che fare con me in modo diverso. Mi dice sempre: tu hai un sacco di difetti, però sei molto risolto con te stesso”.