Il pranzo romano tra Giorgia Meloni e Letizia Moratti agita le acque nel centrodestra. Secondo i retroscena, infatti, la leader di Fratelli d’Italia vorrebbe puntare sull’attuale vicepresidente della Lombardia della corsa alla successione di Sergio Mattarella. Meloni, infatti, non smentisce di avere incontrato l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, ma nega che la discussione abbia riguardato la corsa al Colle, anche se glissa sull’oggetto del faccia a faccia. E Silvio Berlusconi come ha reagito? Il leader di Forza Italia, che da settimane coltiva il sonno di elezione al Colle, come ha preso il retroscena su Moratti, sua ex ministra della Pubblica Istruzione, candidata al Colle? “No, non si è risentito dell’incontro con Letizia Moratti“, dice Meloni, che poi nega ogni ragionamento sul toto Quirinale. “Informo che Il 24 sera sarò con mia madre, ma non per questo intendo candidarla al Quirinale – dice la capa di Fdi – non facciamoci dei film. Credo fosse normale che il presidente di FdI parli con un’assessore del centrodestra”. Basso profilo anche da parte della ex sindaca di Milano: “Io credo che per il centrodestra l’unico candidato è il presidente Berlusconi“, dice Moratti. A cosa era dovuto dunque il faccia a faccia con Meloni? “Io mi occupo di sanità in Regione, è un impegno significativo al quale tengo molto e al quale sto dedicando tutta me stessa. Ho normalmente degli incontri con diversi leader della maggioranza e dell’opposizione per parlare di sanità e della Lombardia”. Non si è parlato di Quirinale dunque? “Abbiamo parlato di sanità e di Lombardia”, risponde Moratti.
La vicenda del danno erariale – Smentite di rito visto che il nome dell’ex ministra della Pubblica Istruzione continua a prendere quota nel toto Quirinale. Da più parti, infatti, indicano Moratti come la carta coperta del centrodestra nella corsa al Colle. Un nome che Meloni e Salvini spenderebbero dopo aver bruciato quello di Berlusconi: nel segreto dell’urna, infatti, per l’uomo di Arcore sarebbe difficile prendere tutti i voti della coalizione. Il profilo di Moratti, invece, viene considerato maggiormente spendibile nella corsa al Colle. Già presidente della Rai tra il 1994 e il 1996, poi ministra nel secondo governo Berlusconi, nel 2006 Moratti viene eletta sindaca di Milano. A Palazzo Marino resta fino al 2011, quando viene sconfitta da Giuliano Pisapia. Nel frattempo, nel 2009, era arrivata la condanna della Corte dei Conti lombarda: Moratti, con alcuni suoi assessori e dirigenti, erano stati condannati a pagare circa 360 mila euro complessivi di danno erariale per la vicenda delle cosiddette “consulenze d’oro“. Si trattava di “illeciti conferimenti di incarichi dirigenziali” a sei persone e per “non consentite nomine di addetti all’Ufficio Stampa comunale” per altre sei. La cifra per l’ex prima cittadina era di circa 132 mila euro. Quelle sentenze furono impugnate sia dalla Procura regionale della Lombardia, che aveva ritenuto non congruo il danno erariale calcolato – chiedeva la condanna a sette milioni – sia dagli amministratori pubblici che avevano chiesto di essere assolti. La sentenza d’Appello era arrivata il 22 dicembre del 2016 : la Corte dei Conti centrale condannò Moratti e gli ex assessori a pagare oltre un milione di euro, circa 591 mila euro solo per l’ex prima cittadina. Per i giudici contabili l’operato di Moratti avrebbe avuto “il connotato della grave colpevolezza, ravvisabile in uno scriteriato agire, improntato ad assoluto disinteresse dell’interesse pubblico alla legalità e alla economicità dell’espletamento della funzione di indirizzo politico-amministrativo spettante all’organo di vertice comunale”.
Le motivazioni della Cassazione – Anche il ricorso in Cassazione non aveva avuto l’esisto sperato. Esattamente tre anni fa, il 4 dicembre del 2018, la Suprema corte ha messo il bollo su quella sentenza di condanna. “Appare conforme al dettato normativo – si legge nella sentenza firmata dalla giudice Lucia Tria – il sindacato effettuato dal Giudice contabile, che non ha riguardato il merito e l’opportunità delle scelte discrezionali della Pubblica ammninistrazione tra diverse soluzioni possibili, ma è consistito nella valutazione della legittimità dei provvedimenti di conferimento di incarichi esterni (ad alcuni dirigenti del Comune di Milano e ad alcuni giornalisti addetti all’Ufficio Stampa dello stesso Comune), secondo il paramento normativo rappresentato dalle disposizioni vigenti in materia e dai principi di rango costituzionale conformatori dell’attività amministrativa. In particolare, la Corte dei conti, operando un’analisi specifica dei requisiti soggettivi di ciascuno dei sei dirigenti esterni del Comune di Milano in argomento, è pervenuta alla conclusione secondo cui nessuno dei nominati era in possesso delle specifiche competenze professionali richieste”. Sulla vicenda era stata aperta anche un’indagine penale, archiviata nel 2009 dal gip di Milano che considerò quelle nomine un semplice ”spoil system” effettuato con ”modalità di rimozione” dei dirigenti ”censurabili sotto diversi profili”, ma che non ha ”travalicato il limite dell’illecito penale”.