I pazienti sono stati indirizzati a Milano e Como per mesi. Nei periodi di inattività non vengono fornite le terapie Prep ai sieronegativi e mancano sia l'attività di screening sia quella di counseling. Ora la riapertura viene accolta con favore da Arcigay, ma rimane la preoccupazione sulla carenza del personale
A Varese, dopo quasi tre anni, ha riaperto l’Ambulatorio per le infezioni sessualmente trasmesse. Il centro è un presidio fondamentale per la sanità: effettua i test per l’Hiv, ma si occupa anche di counseling e screening. Anonimi e gratuiti, per tutti. Già nel 2017, la gestione burocratica aveva causato una sospensione delle attività di 18 mesi. Poi la carenza di personale – soprattutto di medici e infermieri specializzati – e l’emergenza dovuta alla pandemia sembravano avergli dato il colpo di grazia. Il telefono infatti è suonato per alcuni mesi a vuoto e le visite sono state a lungo rimandate a data da destinarsi. La pressione sui reparti per la cura delle malattie infettive ha purtroppo permesso che molti pazienti in tutta Italia non fossero seguiti adeguatamente. Secondo le segnalazioni su base nazionale all’associazione ArciGay, nel nord del Paese il caso di Varese è stato unico. A Padova – la sola altra città in cui è stata segnalata un’interruzione del servizio a tempo indeterminato – l’ambulatorio ha chiuso per un anno. “Capiamo tutte le criticità – spiega Giovanni Boschini, presidente dell’associazione a Varese – ma queste non si possono ripercuotere sulla salute pubblica”.
“L’ambulatorio è un posto sicuro per chi ha bisogno o voglia di confrontarsi. Oppure di trovare posto di accoglienza senza giudizio – racconta Aurelio Filippini, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche della provincia e professore all’Università Insubria – Stava funzionando bene” prima della sospensione forzata a causa del Covid. La sua partenza però non è stata semplice: “I colleghi che lo hanno avviato erano pieni di buona volontà, anche se non è sempre stata sufficiente”, spiega. “All’inizio mancavano le strumentazioni, persino il telefono”. Poi gli screening si sono temporaneamente fermati per un anno e mezzo, in coincidenza con il passaggio dall’ex Asl di Varese all’azienda ospedaliera Asst Sette Laghi. Nel 2018 sembrava che le attività – sotto il reparto di Infettivologia guidato dal Prof. Paolo Grossi – sarebbero riprese in maniera più continuativa, ma non è stato così. “È da circa 3 anni che il centro funziona a singhiozzo – spiega Giovanni Boschini – ogni tanto apre e ogni tanto chiude”. Anche sull’ambulatorio di Busto Arsizio – la sede dell’Asst Valle Olona, l’altra azienda ospedaliera del territorio – non ci sono notizie certe. E, durante il periodo di chiusura, chi chiamava veniva reindirizzato a Milano o a Como: “È inaccettabile doversi fare anche 60 chilometri da alcune parti della provincia per fare un test”.
Gli strumenti di screening disponibili tramite ricetta medica o in farmacia non sostituiscono il servizio del centro per le Malattie trasmesse sessualmente: per l’Hiv “Molte persone vogliono fare il test in anonimo e avere una consulenza se è positivo”. La presenza di un professionista inoltre è utile a superare situazioni di imbarazzo e di vergogna: “Le persone non vanno dal medico di base per fare un esame a pagamento e ammettono senza problemi di avere avuto un rapporto sessuale a rischio – spiega un operatore sociale, impegnato con i giovani del Varesotto, che preferisce non dire il suo nome. Anche lui, che lavora con le fasce più vulnerabili alle infezioni, non è stato avvisato per tempo delle chiusure precedenti: “L’ho saputo perché mandavo le persone che seguo a fare il test. E mi dicevano che il numero dell’ambulatorio non funzionava”. Questo però non è l’unico problema da risolvere. Il centro necessita infatti di strumenti aggiornati: “Negli altri centri distribuiscono gratuitamente la terapia Prep – una serie di farmaci del costo di circa 60 euro che protegge i sieronegativi che hanno rapporti a rischio – A Varese questo non succede” dichiara Boschini. Il personale inoltre deve essere informato e specializzato: “Spesso ci segnalano – continua il presidente di ArciGay – che i medici di base non applicano le esenzioni per i vaccini per l’Epatite A e B e il Papilloma virus, previste per per chi ha rapporti con persone dello stesso sesso – spiega – Molto spesso perché non sanno che esista o quali siano le categorie a rischio”.
Le numerose sollecitazioni di ArciGay non hanno avuto effetto. “Il nostro desiderio sarebbe aprire un tavolo di discussione tra le associazioni che si occupano di questo tema, il Comune e Asst” spiega il presidente varesino. Anche le comunicazioni ufficiali e la minaccia di inoltrare la segnalazione al ministero della Salute non ha sortito effetti: “Lettere, raccomandate, incontri, tante promesse ma non si risolve niente – afferma Boschini – Ci troviamo un muro di gomma”. Negli anni precedenti Asst Sette Laghi e Asst Valle Olona si erano mostrate intenzionate a inaugurare nuovi centri, ma alle porte del 2022 non c’è ancora alcun progetto concreto. “L’ambulatorio un servizio per tutta la popolazione – afferma ancora Boschini – Noi riceviamo segnalazioni dai pazienti sulle chiusure periodicamente. Così tante persone che chiamano una volta e non possono fare subito il test, desistono o lo rimandano”. Eppure la diagnosi è la prima azione per la prevenzione e la cura: “Prima sai di essere sieropositivo, prima hai una vita paragonabile agli altri”. La presenza del centro è però imprescindibile anche come luogo di sensibilizzazione: “È utile anche per la decostruzione dello stereotipo che vede l’Aids e l’Hiv come malattie legate a una certa fascia di persone” dichiara l’operatore sociale.
La riapertura è una notizia positiva, ma si rischia di dover fare i conti con i problemi precedenti. “Per quanto funzionerà? – si chiede ancora l’operatore – Il punto non è che l’ambulatorio riapra, ma che non richiuda tra poco. Nonostante il Covid, gli ambulatori vanno avanti altrove, in Italia”. Inoltre “il servizio andrebbe implementato – secondo Filippini – Almeno la reperibilità telefonica servirebbe per più tempo”. Infatti il servizio di counseling e screening sarà attivo solo per un pomeriggio a settimana – dalle ore 14:00 alle ore 18:00 – e sarà gestito da due infermieri e un medico. Il desiderio di potenziare le attività c’è, ma “l’organico di infettivologia è risicato – ammettono da Asst Sette Laghi – C’è una carenza degli specialisti e gli ospedali se li rubano tra loro”. L’incertezza legata al Coronavirus complica ulteriormente la distribuzione efficace dei sanitari assunti: “Nei mesi record dell’epidemia sui 1000 posti letto in tutti i nostri ospedali, 654 erano occupati da degenti Covid – fanno sapere da Asst – Oggi la situazione è diversa: ne abbiamo 120. Si è però aggiunta anche una massiccia campagna vaccinale. Ci rendiamo conto che non possiamo fermare gli ambulatori e la chirurgia e stiamo cercando di fare uno sforzo maggiore – concludono – La nostra missione è salvare i pazienti”.