di Marcella Loporchio*
I talenti sono la risorsa delle aziende, le aziende hanno bisogno di talenti, facciamo emergere i talenti, valorizziamo i talenti. Sembra uno slogan, ma è quanto ormai si legge ovunque a fronte anche del numero crescente di dimissioni da parte dei dipendenti e della necessità di molte aziende di essere al passo con i tempi.
Sì, perché si possono studiare tutte le tecniche del mondo, assumere i migliori manager, investire molti soldi ma non ottenere alcun risultato se non si capiscono le persone e i loro bisogni all’interno e all’esterno del “sistema azienda”.
Il paradigma è completamente cambiato. Partivamo da una cultura basata prevalentemente su numeri e percentuali che, collegata alla valutazione delle performance, attribuiva poco valore – salvo rare eccezioni – alla persona in quanto tale. Il turnover presente in molte aziende veniva spesso giustificato con la “scarsa propensione al lavoro” delle persone, senza che ci fosse una vera analisi critica del contesto in cui tutto questo si sviluppava.
Ora ci si è accorti che non basta solo garantire salari o bonus più alti, ma è necessario capire le motivazioni e trovare le soluzioni. Frederick Herzber nel 1968, nel suo libro One more time: How do you motivate employees? diceva che “…si può parlare di motivazione solo quando una persona ha un proprio generatore di corrente. Una persona non deve avere uno stimolo esterno. Una persona deve voler fare”. La sua teoria apre, sin da allora, alla necessità di investire sull’employer branding e sulla giusta selezione che, basandosi su valori condivisi e definizione chiara di ruoli e compiti, permette di motivare maggiormente i dipendenti sugli obiettivi dell’azienda.
Il perno fondante si presenta, ancora una volta, nella capacità di investire sulla formazione mirata, che rispecchi le aspettative dei lavoratori e che sia legata ad una chiara possibilità di crescita professionale.
Dalla ricerca della Consumer Technology Association (CTA), la formazione professionalizzante (80%) e i programmi di sviluppo professionale per affinare le competenze trasversali (74%) sono percepiti tra i principali vantaggi per il mantenimento dei servizi dei dipendenti nei prossimi cinque anni. A riprova di come ormai non è più un sistema di hard skills quello verso cui tendere, ma uno in cui l’apprendimento e il miglioramento continuo possono essere riportati anche nella vita quotidiana. Il benessere personale, oltre che quello organizzativo e gestionale, diventa il perno sul quale innescare il processo. Comprendere le abilità e le competenze dei singoli, creare dei sistemi nei quali tutti possano condividere le loro esperienze che devono, necessariamente, diventare parte integrante del processo produttivo non più legato alle logiche numeriche, come abbiamo detto, ma alla valorizzazione del talento umano. Creare un clima aziendale che motivi le persone ad andare in ufficio con piacere, a pensare di poter esprimere liberamente le proprie idee avendo, dall’altra parte, un’organizzazione capace di ricevere i feedback, gestita da persone con una spiccata leadership e comunicazione attiva.
Accanto a questo non possono mancare programmi di mentoring, progetti di welfare e wellness aziendale, studiati esattamente sui bisogni dei singoli e non legati a “buoni Amazon”, benefit e remunerazione competitiva, che non deve mai essere utilizzata come leva primaria o unica. Le conseguenze sarebbero una lettera di dimissioni immediate! Perché le persone vogliono stare bene, vogliono essere orgogliose di poter dire di lavorare in una determinata azienda che si dimostra, all’interno e all’esterno, capace di essere sensibile ai tempi dell’economia circolare, della sostenibilità, del rispetto vero delle persone, attenta alla cura dei luoghi di lavoro che devono diventare sempre più comodi e funzionali e nei quali tutti si sentano liberi di poter essere se stessi. Non più un sistema verticistico tra singoli reparti, ma orizzontalmente partecipato, con una conoscenza trasversale dei team, del management che non deve più essere qualcosa di separato ma deve rappresentare una parte del tutto.
Infine c’è bisogno, immediatamente, di capire i campanelli d’allarme che passano dalle lamentele, alla chiusura fino al calo della produttività. Analizzarli e correre al riparo è fondamentale solo ed unicamente se poi i valori della correttezza, rispetto, supporto, crescita, carriera, obiettivi condivisi, spirito di collaborazione e comunicazione aziendale non risultino degli obblighi imposti dall’alto. E’ il momento dell’esame di coscienza con redenzione solo se si ammettono i propri errori.
* Consulente del Lavoro e trainer, da oltre 25 anni affianco le aziende e gli enti, pubblici e privati, in ambito di soft skills e benessere organizzativo. Speaker radio e tv, da sempre sostenitrice della valorizzazione delle differenze sono Coordinatrice della Commissione Pari Opportunità all’interno dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Bari. Napoletana trapiantata a Bari sono cultrice della materia in Organizzazione del Personale e Gestione delle Risorse Umane alla Facoltà Luigi Vanvitelli della Campania.