In attesa di vedere se il nostro Nightmare before Christmas quirinalizio avrà un lieto fine come quello di Tim Barton, anche se ormai sappiamo bene che non è altrettanto divertente, è il caso di registrare che, al di là dell’esito finale, B. ha già ottenuto un personale successo a discapito della già precaria credibilità e affidabilità dei rappresentanti agli occhi dei rappresentati.
E’ infatti riuscito in spregio a qualsiasi elementare previsione, fondata sulla ragionevolezza prima ancora che sul decoro istituzionale, a tenere non solo la ribalta politico-mediatica ma a condizionare pesantemente e negativamente un quadro istituzionale già compromesso da una fragilità dei gruppi parlamentari senza precedenti, dall’annunciato protagonismo dei franchi tiratori, dalla virtuale disponibilità di tanti a lasciarsi “convenientemente” convincere, dalla semi-impotenza dei leader a controllare i loro.
In molti scommettono, danno per scontato o quantomeno prevedono, come Romano Prodi, che B. non ascenderà al Quirinale, e benché volendo crederci si tratti di una notevole rassicurazione, nondimeno la situazione complessiva all’approssimarsi della data fatidica rimane più che mai incartata e l’esito in balìa di manovre poco trasparenti e di aspiranti o sedicenti kingmaker poco raccomandabili.
Assodato che la continuità del binomio Sergio Mattarella al Colle – Mario Draghi a palazzo Chigi su cui aveva puntato il Pd, riproposta ancora come unica garanzia di stabilità da Ferruccio De Bortoli a 1/2 Ora in più, appare archiviata dalla manifesta indisponibilità dell’attuale presidente al bis, ribadita implicitamente anche nel corso del saluto agli ambasciatori, rimane in campo, anche se sempre più avversata, l’ipotesi del “trasloco” di Draghi al Colle, sostituito da una sorta di suo “alter ego” come Daniele Franco.
L’opzione Mario Draghi al Quirinale, al di là delle valutazioni sul governo “dei migliori”, sarebbe l’unica al momento che potrebbe consentire “la larga convergenza” auspicata a parole da tutti i leader. Ma, soprattutto, potrebbe evitare lo stallo, o meglio la palude delle votazioni infinite, allontanare il rischio non così remoto di un “colpo d’ala” di B. grazie a metodi consolidati dalla quarta chiama in poi, quando il quorum si abbassa, togliere lo spazio a manovratori di lungo corso e consolidata esperienza.
Infatti tra i due ex sodali del patto del Nazareno, Matteo Renzi e B., si è ricostituita un’operosa corrispondenza di amorosi sensi e comuni obiettivi fondamentale per far raggiungere a B. l’agognato pacchetto di voti necessario e “sicuro”. Conditio sine qua non per ottenere il sostegno compatto di tutto il centrodestra, finora non propriamente granitico dalle parti di Giorgia Meloni e Matteo Salvini: quest’ultimo, nell’altalena delle dichiarazioni, dopo aver blindato Draghi a Palazzo Chigi non ha mancato di aggiungere: “Se Berlusconi avesse i numeri, perché no?”
E avere i numeri significa per B. intensificare la caccia ai voti da aggiungere a quelli veri o presunti provenienti dal gruppo Misto o da ex M5S. Dunque a chi rivolgersi se non all’amico e “allievo” Matteo che già da sindaco l’aveva omaggiato ad Arcore e che sulle sue orme e con i suoi stessi accenti è impegnato nella sua stessa guerra prioritaria, quella contro i magistrati colpevoli, nel rispetto della competenza territoriale, di indagare su di lui, sulla sua famiglia, sulla sua Open?
Così, con l’ausilio prezioso del fido Enrico Letta, B. sta intessendo una fitta interlocuzione con il leader di IV che sulla carta può disporre di 43 grandi elettori. Intanto dalla Sicilia Gianfranco Micciché, presidente dell’Assemblea siciliana e indiscusso viceré di Silvio in quello che fu “il granaio di FI”, reclama senza giri di parole la presenza del fu-rottamatore all’interno di un centrodestra larghissimo con l’ufficializzazione di fatto di Forza Italia Viva e una ricaduta scontata sul fronte Quirinale: “Renzi mi ha detto che vota B. al Colle se ci sono le condizioni“.
Qualora non ci fossero le condizioni, ovvero i numeri sufficienti per l’incoronazione di B., bisognerebbe ripiegare su un piano di riserva che dovrebbe sempre garantire un ruolo per il manovratore di Rignano e una exit strategy per l’autocandidato di Arcore che rinuncerebbe a favore di “alti profili”, da sempre graditi a Renzi, come Pierferdinando Casini in primis o in subordine Marcello Pera.
Ma va segnalato che nell’elenco dei Quirinabili che di giorno in giorno si arricchisce di discutibili, indigeribili, obsolete new entry rimane sempre molto accreditato Giuliano Amato, già candidato indicato da B. a cui fortunatamente venne preferito Sergio Mattarella, sempre “sul tavolo” per il Pd, nonostante rappresenti al meglio la casta e la restaurazione e non il meglio della prima Repubblica.
Questo sinteticamente è lo scenario con relative manovre sul campo e totonomi aggiornato – se volete si può aggiungere anche Letizia Moratti – che rimarrebbe pressoché immutato se tramontasse definitivamente l’opzione Draghi a larga maggioranza prima della quarta votazione. E sono tanti, sempre più numerosi, i nemici di Draghi anche dentro il governo che fanno a gara nell’imbullonarlo a Palazzo Chigi: B., forzaitalioti e italovivi in primis, ma non solo.
Da più parti si sollevano grandi perplessità ed enormi allarmi riguardo l’inusualità del passaggio istituzionale che comporterebbe la supplenza per tempi brevissimi, qualora Mattarella non acconsentisse a ricevere il giuramento del nuovo presidente della Repubblica in regime di “prorogatio”, di Renato Brunetta ed Elisabetta Casellati, rispettivamente a Palazzo Chigi e al Quirinale. Sul Fatto di lunedì 20 dicembre, il costituzionalista Dem Stefano Ceccanti, che per inciso è stato in passato artefice di progetti di riforme quantomeno discutibili e che Gianfranco Pasquino definì letteralmente da “apprendisti stregoni”, bolla l’ipotesi Draghi come “equivoca dal punto delle norme” e aggiunge che “creerebbe un vuoto alla guida del governo”. Sotto le obiezioni tecniche mi sembra che ci sia un’evidente legittima avversione politica e quanto all’opzione del bis di Mattarella, che data l’oggettiva emergenza mi sembrava anche proponibile, mi risulta sia stata esclusa ripetutamente dall’interessato più che da “un’unanime contrarietà”.
Se poi il nome che il Pd ha sul tavolo è quello di Giuliano Amato, che pretenderebbe di far ingoiare anche al M5S, allora “Viva Draghi al Quirinale”, anche se le mie preferenze personali includerebbero profili alquanto alternativi (da Giuseppe Conte a Rosy Bindi). Per fortuna o per disgrazia credo di avere ancora un po’ di onestà intellettuale e di senso della realtà.