Secondo Francesco Ramella, ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni il golpe cileno del generale Augusto Pinochet avrebbe consentito di evitare la degenerazione in regime del governo socialista di Salvador Allende, eletto democraticamente. Nella sfera di cristallo di Ramella le due cose più o meno si equivalgono. Il colpo di stato in Cile dell’11 settembre 1973, sostenuto dalla Cia, instaurò una dittatura durata 17 anni. Nei mesi che seguirono l’uccisione di Allende 100mila persone furono incarcerate e torturate. Migliaia di persone, per lo più attivisti ed oppositori politici, sparirono nel nulla, i cosiddetti “desaparecidos”, alcuni torturati e poi gettati in mare da aerei militari. Durante gli anni della dittatura di Pinochet, omaggiato tra gli altri dall’economista iperliberista Milton Friedman e dalla premier britannica Margaret Thatcher, l’indice di Gini che misura il livello di diseguaglianza di una società è salito dal 44 al 59%. La ricchezza del 10% più benestante della popolazione è salita dal 34 al 52% del totale. Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri.

L’uscita di Ramella, commento all’elezione a presidente del Cile di Gabriel Boric che dopo la vittoria si è raccolto in silenzio davanti alla statua di Allende, si potrebbe rapidamente derubricare tra le baggianate che l’Istituto Bruno Leoni sforna più o meno a getto continuo. Sul sito si trovano le tesi del più feroce negazionismo climatico, interventi che negano i danni del fumo (“Fuma pure. Scienza senza senso”) o contributi come “Una società armata è una società libera”. Tra i “fellow onorari” dell’Istituto c’è però anche José Piñera, che è stato membro della giunta militare di Pinochet e ministro del Lavoro durante gli anni della dittatura. Il problema è che ora due esponenti dell’Istituto siedono a palazzo Chigi, sebbene nessuno abbia ancora ben capito a fare cosa.

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando fa bene ad indignarsi. Ma, piuttosto che scrivere su Twitter, potrebbe bussare alla porta di Francesco Giavazzi, consulente economico di palazzo Chigi che ha chiamato con sé anche Serena Sileoni e Carlo Stagnaro, nomi storici dell’Istituto.

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L’Istituto (“Idee per il libero mercato” come sottotitolo) è peraltro un’entità misteriosa. Nessuno sa chi lo finanzi. Certo nei suoi organismi direttivi ci sono molti nomi noti, tanti riconducibili alla galassia dei Benetton, a cominciare dall’ex presidente Fabio Cerchiai, presidente di Atlantia che, dopo il crollo del ponte Morandi, scherzava con Gianni Mion perché aveva paura di andare in vacanza in macchina, dovendo attraversare ponti e gallerie. A presiedere l’istituto c’è Franco Debendetti, (fratello del più noto Carlo che si è fatto cambiare il cognome per darsi un tono di nobiltà). Da sempre vicino all’Ibl è anche il giornalista Oscar Giannino, oggi consulente del presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Dopo la nomina dei due consulenti, che dovrebbero occuparsi anche dell’assegnazione di risorse pubbliche, Il Fattoquotidiano.it ha chiesto in più occasioni all’Istituto se fosse possibile sapere chi lo finanzia. Nessuno ha mai risposto.

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