Scienza

Omicron, “rischio ospedalizzazione 5 volte inferiore rispetto alla Delta”: i dati dello studio sudafricano in fase di revisione

La ricerca, realizzata su 400mila casi, dice che la stragrande maggioranza dei contagi con la variante Omicron non richiede un ricovero ospedaliero. Ma gli esperti invitano alla prudenza: il Paese si trova in una stagione diversa, senza dimenticare che il tasso di vaccinazione è nettamente più basso rispetto a quello europeo e questo può significare che molte persone abbiano già contratto il virus in precedenza

È certamente più contagiosa, ma forse è anche meno pericolosa. Inizia a prendere forma l’identikit della nuova variante del virus Sars-CoV-2, la temuta Omicron. I nuovi dati che ci arrivano da quel grande laboratorio a cielo aperto che è diventato il Sudafrica, dove la nuova mutazione è stata individuata per la prima volta, fanno ben sperare: anche se ha tutte le carte in regola per diventare presto la variante dominante anche in Europa, avrebbe meno probabilità di portare a forme più gravi dell’infezione. Uno studio riportato sul server di prestampa MedRXiv, quindi in attesa di revisione prima della sua pubblicazione su una rivista scientifica ufficiale, dice chiaramente che la stragrande maggioranza dei contagi con la variante Omicron non richiede un ricovero ospedaliero. Più precisamente, lo studio condotto dal National Institute for Communicable Diseases sudafricano, coloro che contraggono il Covid-19 nell’attuale quarta ondata di infezioni hanno l’80% in meno di probabilità di essere ricoverati in ospedale se colpiti dalla variante Omicron rispetto ad altri ceppi. Inoltre, una volta ricoverati in ospedale, il rischio di una malattia grave non differisce dalle altre varianti.

Per arrivare a questi risultati i ricercatori hanno confrontato le attuali infezioni da Omicron con quelle causate dalla variante Delta in Sudafrica tra a aprile e novembre. Ebbene, il rischio di ospedalizzazione nei pazienti che hanno contratto omicron è un quinto di quello osservato nei pazienti che avevano contratto Delta. “Per essere chiari, se il rischio di finire in ospedale per Delta fosse stato del 5%, per Omicron sarebbe dell’1%”, specifica in un post su Facebook Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta.

“Sono dati incoraggianti e interessanti, ma sono da prendere con cautela”, commenta Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igm). “Innanzitutto perché devono ancora essere verificati dalla revisione che potrebbe richiedere anche un ulteriore supplemento di indagine o di revisione dei dati. Inoltre – aggiunge – è difficile paragonare la situazione sudafricana a quella dei nostri Paesi”. Secondo l’esperto, non bisogna sottovalutare che al momento ci ritroviamo in stagioni diverse. “In Sudafrica c’è l’estate australe che potrebbe essere tipicamente caratterizzata da una diversa dinamica dell’infezione”, dice Maga. Inoltre, c’è un problema temporale di non poco conto che rende complicato concludere se la variante Omicron è più virulenta o meno. Lo spiega bene Paul Hunter, professore di medicina presso l’Università East Anglia del Regno Unito: “Anche se i casi di Omicron hanno meno probabilità di finire in ospedale rispetto ai casi di Delta, non è possibile dire se ciò sia dovuto a differenze intrinseche di virulenza o se ciò sia dovuto a una maggiore immunità della popolazione a novembre rispetto a l’anno precedente”. Aggiunge Maga: “Potrebbe esserci una differenza significativa rispetto al livello di immunità di gran parte della popolazione che probabilmente è stata contagiata dalle precedenti ondate del virus”.

Quindi al momento non ci sono evidenze chiare che la variante Omicron possa dare una sintomatologia più o meno grave rispetto a quelle attualmente circolanti. Per Silvestri quest’ultimo studio si andrebbe aggiungere ad ulteriori dati che arrivano sempre dal Sudafrica. “La letalità calcolata di Covid-Omicron – spiega – sembra molto più bassa di quella delle varianti precedenti. Il dato dal Sudafrica su quasi 400mila casi parla di 0.26% di letalità, paragonata al 2.5%-4.0% delle ondate precedenti. Questo nonostante la popolazione sia pienamente vaccinata solo al 26.3% (42% degli adulti). In accordo con questa osservazione, la pressione sulle terapie intensive del Sudafrica, un paese da 60 milioni di abitanti, rimane bassa, con un totale di 546 letti occupati (molto meno che in Italia)”.

Tuttavia, trattandosi di una nuova versione del virus, la cautela è d’obbligo. “La parola d’ordine è prudenza”, sottolinea Maga. “Finché non avremo elementi certi – continua – bisogna limitare il più possibile i contagi. Nei nostri Paesi dove c’è un tasso di vaccinazione elevato è stato dimostrato che è importante aumentare la protezione nei confronti di questa variante con il richiamo vaccinale, ovvero la terza dose, che diventa così uno strumento essenziale per quello che potrebbe diventare il virus dominate a livello europeo entro l’anno prossimo”. E conclude: “I dati sudafricani ti permettono di sperare che effettivamente questo virus non sia così cattivo come si poteva immaginare all’inizio, ma non ci sono ancora elementi certi per essere eccessivamente tranquilli. Non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia”.

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