Ci saranno sorrisi di circostanza, battute e – Covid permettendo – anche abbracci. Ma difficilmente dal vertice di centrodestra di Villa Grande a Roma uscirà la candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale. Anzi, saranno più i silenzi a pesare. Si conteranno i non detti. E si leggeranno le espressioni del viso. Perché il centrodestra sul Quirinale è spaccato, diviso, lacerato. Matteo Salvini e Giorgia Meloni non hanno in testa Berlusconi come vero candidato al Colle. Il primo un’idea precisa ancora non ce l’ha, ma non porrebbe veti su Mario Draghi. La seconda, invece, ha in testa proprio l’attuale premier. Ovvero colui che garantirebbe, dal Colle, le cancellerie europee e Bruxelles nel caso in cui toccasse a lei formare il governo dopo le elezioni.
Meloni vuole Moratti. Ma lei smentisce – E comunque, se il futuro capo dello Stato fosse espressione del centrodestra, allora per Fratelli d’Italia meglio Letizia Moratti, che Meloni ha incontrato (con l’intenzione di farlo sapere) in un ristorante assai frequentato, nel pieno centro di Roma. Notizia che ha fatto andare su tutte le furie il Cavaliere, soprattutto per l’onta subìta dalla Moratti, una sua creatura politica che proprio lui ha voluto alla presidenza della Rai, come sindaco di Milano e pure come commissaria per l’Expo. “Si aggiunge al lungo elenco degli ingrati”, è stato detto ad Arcore. Tanto che ieri l’ex sindaca ha dovuto smentire. “L’unico nome in corsa per il centrodestra è Berlusconi, io mi occupo di Sanità in Regione Lombardia”, ha detto.
“Non vogliono votarlo, ma non sanno come dirlo” – L’incontro è però l’ennesimo segnale che Meloni manda al leader forzista sulla sua volontà di non votarlo, o comunque di prendere in considerazione altre ipotesi. Perché ogni volta che si dice – come ha fatto Ignazio La Russa – “Berlusconi è la nostra prima opzione” ma poi si evocano piani B e C (“esistono almeno 5 alternative”) non è altro che un modo elegante per “smontare” la candidatura dell’uomo di Arcore. “Meloni e Salvini non hanno alcuna voglia di votare Berlusconi, ma non sanno come dirglielo”, sussurra Gaetano Quagliariello. Secondo cui, però, finché la candidatura del cavaliere resterà in campo rischia di imbrigliare tutto il resto. “È come far giocare una squadra con una linea di difesa molto alta: gli altri attaccanti finiscono tutti in fuorigioco”, aggiunge il senatore, tifosissimo del Napoli, usando una metafora calcistica.
“Non è B. la prima scelta” – Berlusconi, dunque, nell’ultimo vertice dell’anno (cui parteciperanno anche gli alleati centristi Giovanni Toti, Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa) pretenderà più chiarezza dalla coalizione? Una parola chiara o addirittura definitiva? Difficile, perché in questo momento non è una pretesa che può avanzare. “È troppo presto, di Quirinale inizieremo a parlare a gennaio, adesso serve a poco o niente”, ha detto Salvini ammettendo, tra l’altro, l’inutilità del suo giro di consultazioni coi leader. “Ha fatto più chiasso un solo incontro della Meloni che dieci telefonate del leader leghista”, sogghigna a Montecitorio un autorevole esponente forzista. “Meloni sta cercando di far capire a Berlusconi che non è lui la sua prima scelta e che comunque la coalizione ha diverse carte da giocare”, osserva Osvaldo Napoli, di Coraggio Italia. “Il punto di svolta sarà quando l’ex premier si renderà conto di non avere i voti necessari e di non riuscire nemmeno a fare il pieno nel centrodestra. A quel punto il modo migliore per uscirne sarà tirarsi indietro e aprire la strada a Draghi”, aggiunge.
“Non mi votano? Salta l’alleanza” – Ciò che filtra da Arcore, però, è tutt’altra musica. “Se la coalizione non mi vota, allora salta il centrodestra”, fa sapere il Caimano attraverso i propri sherpa. Ma al momento sembra più che altro un modo per mettere pressione. “Far saltare l’alleanza non conviene a nessuno, in primo luogo al fondatore, che ne avrebbe solo da perdere, anche per preservare le aziende…”, ragiona un gruppetto di peones del centrodestra nel mezzo del Transatlantico. Insomma, anche da queste parti, “grande è la confusione sotto il cielo”, ma la situazione è tutt’altro che eccellente. Il centrodestra, che in teoria dovrebbe essere l’alleanza più omogenea, in realtà è la più divisa, a prescindere dalla spaccatura sul governo Draghi. Perché, paradossalmente, è proprio l’unica forza di opposizione quella più convinta a spedire l’ex mister Bce a Palazzo Chigi se in cambio potesse ottenere le urne e, come si diceva, una copertura “europeista” a un futuro incarico alla Meloni.
Ma anche Salvini guarda altrove – Forza Italia, e nemmeno tutta, continua invece imperterrita a giocare la carta Berlusconi, anche se bisogna vedere con quanta convinzione. Mentre Matteo Salvini fa il pesce in barile: continua a dire “sì a Berlusconi” ma in realtà guarda altrove, tenendosi aperte tutte le porte e pronto a costruire un percorso per un capo dello Stato frutto di un accordo di sistema non divisivo, in grado di portare (o di far restare) a Palazzo Chigi una persona che continui nella messa a terra del Pnrr e nella battaglia contro la pandemia (e Salvini, come ha detto giorni fa, vorrebbe che fosse lo stesso Draghi). Sostenitori di questo scenario sono anche Toti (che non ragiona più in ottica di coalizione ma va a braccetto con Matteo Renzi) e il segretario dell’Udc Cesa. Un passo indietro, invece, il leader di Noi con l’Italia Maurizio Lupi, che spera ancora nell’elezione di una personalità del centrodestra.