Vecchi e nuovi problemi legati all’iter per la realizzazione del Deposito unico nazionale dei rifiuti radioattivi sono tutti legati al nodo principale, che è quello dei tempi di realizzazione. Perché il ritardo nella costruzione del deposito si ripercuote sulle attività di dismissione delle vecchie centrali nucleari, e questo significa alimentare i costi nella gestione dei rifiuti radioattivi: 300 milioni di euro ogni anno in bolletta. Lo chiarisce la relazione della Commissione d’inchiesta bicamerale sulle Ecomafie che, dopo il precedente report pubblicato a marzo 2021, questa volta si concentra proprio sulla procedura che dovrebbe portare alla realizzazione del deposito. Il 15 dicembre scorso Sogin – la società di Stato incaricata della messa in sicurezza dei rifiuti – ha pubblicato gli atti del Seminario nazionale svolto dal 7 settembre al 24 novembre, dando il via alla seconda fase della consultazione pubblica che si concluderà il prossimo 14 gennaio. Entro quella data potranno essere inviate, con le modalità indicate sul sito depositonazionale.it, eventuali altre osservazioni e proposte tecniche finalizzate alla predisposizione della Carta nazionale aree idonee (Cnai). “Il decreto che definitiva l’iter risale al 2010 – commenta a ilfattoquotidiano.it il presidente della Commissione, Stefano Vignaroli – e sono dovuti passare 11 anni e diversi esecutivi prima che, con il Governo Conte bis, si arrivasse alla pubblicazione della Carta nazionale delle aree solo potenzialmente idonee (Cnapi). Con questo precedente è chiaro che siamo un po’ scettici sui tempi”.
Quanto si paga il tempo perso – In base a quanto previsto dalla legge (da molti considerata ottimistica) saranno necessari poco meno di quattro anni dalla pubblicazione della Cnapi per giungere all’autorizzazione unica che consentirà l’avvio della costruzione del deposito, destinato allo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari, e all’immagazzinamento (a titolo provvisorio di lunga durata) dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla gestione passata degli impianti nucleari. Solo per l’avvio dei lavori, quindi, bisognerà aspettare almeno il 2025. Per la costruzione e l’esercizio, invece, sono previsti circa cinquant’anni. Nel frattempo, non solo manca un deposito, ma bisogna anche mantenere in sicurezza strutture che sarebbero da smantellare, adeguare periodicamente i depositi temporanei, trattare continuamente rifiuti immagazzinati da lungo tempo. “Ogni anno in media si pagano nella bolletta elettrica 300 milioni di euro per finanziare le dismissioni e per gestire i rifiuti radioattivi, compresi quelli a bassa radioattività derivanti dalle attività mediche e di ricerca” spiega Vignaroli, ricordando che “nel 2036 arriveremo ad aver speso complessivamente circa 8 miliardi di euro”. Senza contare la progressiva diminuzione degli spazi disponibili per lo stoccaggio e il proliferare di depositi temporanei in tutta Italia, tanto che la Commissione chiede “che si assicurino adeguati margini rispetto alle capacità di stoccaggio temporaneo ricorrendo a tecniche efficaci di riduzione dei volumi”, ma anche “aggiornando e verificando sistematicamente e sulla base di stime realistiche eventuali prospettive di esaurimento degli spazi attualmente disponibili nei depositi esistenti e, in caso fosse necessario, provvedendo per tempo a realizzare strutture di deposito”.
Le difficoltà da superare – Nel frattempo l’iter sta trovando non pochi ostacoli. “Anche se il seminario è stato utile, perché la Sogin ha avuto modo di comunicare diverse informazioni e i soggetti interessati hanno potuto presentare osservazioni – racconta il presidente della Commissione Ecomafie – non solo nessuno dei 67 territori indicati come potenzialmente idonei ha dato la propria disponibilità, cosa che in questa fase davo un po’ per scontata, ma da alcuni commenti e osservazioni credo vada evidenziata anche la necessità di offrire maggiori informazioni che possano aiutare i territori a valutare la possibilità di ospitare o meno il deposito”. E se non ci sarà alcuna disponibilità? “Per la prossima estate dovrebbero partire le manifestazioni di interesse – aggiunge – ma se questo non avviene, come in realtà immagino, allora il rischio è che parta un altro tipo di iter con un comitato interistituzionale e che la scelta arrivi dall’alto”. Insomma, sarebbe meglio non arrivare a quel punto. Nella relazione, a questo proposito, si fa riferimento anche ai criteri molto restrittivi, persino “esageratamente”, usati per arrivare alla mappa dei siti potenzialmente idonei. Detto questo, per Vignaroli “comunicazione e trasparenza sono fondamentali per avere l’autorevolezza di spiegare ai territori alcuni aspetti importanti”. In primo luogo, molte persone non sanno che i costi di gestione dei rifiuti e dismissione nucleare vengono pagati in bolletta. Poi vanno chiariti gli aspetti legati alla sicurezza: “I cittadini che si trovano nei territori ritenuti potenzialmente idonei dovrebbero sapere che, probabilmente, già vivono nei pressi di un luogo dove ci sono rifiuti nucleari, certamente posti in condizioni di sicurezza, ma mai come lo sarebbero in un deposito come quello che si vuole costruire”. Basti pensare, d’altronde, ai rifiuti a bassa radioattività che si producono normalmente dalle attività sanitarie. Un altro aspetto è quello legato ai possibili benefici economici. “Come Commissione – aggiunge Vignaroli – siamo stati sia in Francia sia in Spagna e, per esempio, abbiamo visto El Cabril (il centro di stoccaggio di rifiuti radioattivi di livello medio-basso della Enresa, nella provincia di Cordoba, ndr), paragonabile a quello di cui avremmo bisogno in Italia e per il quale si parla di 4mila posti di lavoro per la costruzione del deposito, più altri mille per il personale che dovrà gestire deposito e centro di ricerca”.
Trasparenza ed efficienza – Altri aspetti, invece, sono legati alla trasparenza e all’efficienza dei soggetti coinvolti nell’iter. Resta il problema della mancanza di personale che rischia di non garantire l’operatività dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), autorità competente per il controllo e la regolamentazione nel settore. A riguardo, il Ministero della transizione ecologica ha evidenziato che è ancora pendente la procedura d’infrazione relativa, tra l’altro – riporta la relazione della Commissione – “alla mancanza del requisito di effettiva indipendenza dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione rispetto ad influenze indebite sulla sua attività di regolamentazione nonché ai poteri giuridici e alle risorse umane e finanziarie necessari all’Ispettorato per adempiere ai suoi obblighi”. È pendente, inoltre, la procedura detta “EU Pilot”, la numero 9657 del 2020, con la quale sono stati chiesti chiarimenti relativi al finanziamento e al personale dell’Ispettorato. Un altro problema gestionale è legato alla stessa Sogin, dato che in passato i programmi di disattivazione degli impianti, di volta in volta prodotti dalla società, non sono stati rispettati e i costi previsti per l’ultimazione di tali attività sono cresciuti nel tempo. “Dal personale ai costi, è necessaria la massima trasparenza da parte di tutte le istituzioni coinvolte, comprese Isin e Sogin – spiega Vignaroli – perché scandali sulle spese e i costi lievitati e inefficienza non fanno altro che generare dubbi e creare maggiori resistenze da parte dei territori”. Nella relazione, a riguardo, si invita a valutare la proposta Mite di procedere “a una revisione del calcolo e delle modalità di addebito dei costi del decommissioning e della realizzazione del Deposito nazionale”.