Donne scambiate, ovvero date “in prestito da un fruitore della prestazione sessuale ad altro“. Cioè da Gianpaolo Tarantini a Silvio Berlusconi. E’ quanto scrivono i giudici della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 18 ottobre hanno reso definitiva la condanna a due anni e dieci mesi per l’imprenditore pugliese, accusato di reclutamento della prostituzione per aver portato escort, tra il 2008 e il 2009, nelle residenze dell’ex presidente del consiglio .
“A delineare la concretezza dell’offensività della condotta è il generale contesto nel quale la stessa si è sviluppata, per come emersa da innumerevoli dialoghi intercettati tra l’imputato e le ragazze reclutate, tra lo stesso e i compartecipi e tra l’imputato Tarantini e Silvio Berlusconi, contesto, cioè, in cui la scelta di prostituirsi appare essersi significativamente manifestata in un ambito nel quale la donna può essere ‘scambiata‘, ovvero ‘data in prestito‘ da un fruitore della prestazione sessuale ad altro”, scrivono i giudici della Suprema corte. “L’imputato – continuano i giudici – si era attivato fattivamente offrendosi di pagare le spese di viaggio e di accompagnamento a Palazzo Grazioli – scrivono i giudici della Terza Sezione Penale della Cassazione – circostanze dimostrative del fatto che l’accordo in questione non poteva farsi risalire a quelli precedenti, avendo posto in essere, l’imputato, attività diretta ad ottenere l’adesione delle donne per la specifica serata”.
Nelle motivazioni i giudici della Suprema corte parlano di “frenetica attività” posta in essere “dall’imputato per reperire delle donne per la serata del 6 settembre 2008, in cui larga parte delle trattative (con le ragazze – ndr) riguarda il pernottamento o meno nella casa di Silvio Berlusconi“. Un comportamento che, a detta dei magistrati “dimostra l’autonomia dell’accordo prostitutivo con le tre donne nel quale la condotta di Tarantini ha avuto una evidente autonomia rispetto a precedenti inviti per altre serate”.
La Cassazione ha rigettato i ricorsi della procura generale di Bari e della difesa contro la sentenza con la quale il 26 settembre dello scorso anno dalla Corte d’Appello di Bari aveva condannato l’imprenditore pugliese. In secondo grado, però, Tarantini aveva visto l’entità della condanna ridursi dai sette anni e dieci mesi del primo grado a due anni e dieci mesi, grazie alla prescrizione di 14 dei 24 episodi contestati e al riconoscimento delle attenuanti generiche. Nella requisitoria di fronte alla Cassazione, il sostituto procuratore generale Luigi Giordano aveva chiesto l’annullamento della sentenza e la celebrazione di un nuovo processo d’Appello. I giudici della terza sezione penale avevano invece dichiarato inammissibile il ricorso della parte civile Patrizia D’Addario, una delle ragazze “procacciate” da Tarantini, che fin dal primo grado aveva chiesto il risarcimento del danno. La domanda però è stata costantemente respinta, perché è stato ritenuto che la D’Addario – così come le altre ragazze entarte nel “giro” di Tarantini – non avesse sofferto alcun danno morale, scegliendo autonomamente di prostituirsi.