Fernando Aramburu – I rondoni (Guanda) - 2/10
Non ci sarebbe bisogno di presentazioni perché Patria è una delle opere chiave per capire una certa tendenza letteraria contemporanea in cui la vastità dell’accumulo quantitativo di scrittura diventa significato paritario rispetto al senso del racconto stesso. E invece eccoci di nuovo a lustrarci gli occhi di fronte a I rondoni, romanzo fiume (più di 700 pagine) che invoca in prima persona il pensiero negativo del protagonista Toni, professore spagnolo di filosofia in un liceo che ha previsto di suicidarsi di lì ad un anno esatto. “Per me la vita è un’invenzione perversa, mal concepita e peggio realizzata”. C’è un ex moglie che ha seminato solo rancore, un figlio adolescente mai fonte di grandi gioie, una madre malata in un ospizio, un fratello fastidioso e geloso, un amico (Bellagamba) che ha perso un piede negli attentati terroristici di Atocha e la cagnetta Pepa. Ogni capitolo un mese che passa, ogni mese che passa decine di paragrafetti riflessioni per scaricare definitivamente pezzi di vita nell’oblio. Ma come sempre accade in un percorso così totalizzante qualche stralcio di bellezza e libertà del vivere si può pure trovare. Innervato su una sorta di lingua ribollente (traduce sbarazzino Bruno Arpaia) che omaggia un sarcasmo disincantato un po’ crudele e un po’ zozzo, I rondoni è un’incredibile esperienza letteraria vitale e magmatica, dalle sembianze esteriori non di uno, ma di ben due mattoni; eppure di una livida e corrosiva compattezza che lascia attoniti e appiccicati ai bordi delle pagine senza colpo ferire.