Peter Mason – Il caso del cane marrone (VandA Edizioni) - 4/10
Un saggio animalista che potrebbe essere un romanzo su un cagnetto sconosciuto. “Una storia crudele” – c’è scritto nella quarta di copertina – “un grande esempio di lotte convergenti”. Sedetevi un secondo. Proprietari di cani, amanti degli animali e dei loro diritti o meno. Siamo a Londra nel 1904. Un paio di studentesse di fisiologia assistono a più esperimenti medico-scientifici universitari su un bastardino che bontà sua resiste fino allo stremo e vista la forza viene tenuto in vita dai suoi vivisettori con la pancia aperta e le ferite purulente. Il rappresentante di un’associazione animalista viene a conoscenza dalla storia e denuncia il barone universitario reo non tanto dell’esperimento sulla povera bestia (legale) quanto della reiterata crudeltà sulla medesima. Perde la causa, ma in un quartiere operaio della capitale inglese, Battersea, sindaco, consiglieri e cittadini tutti, erigono una statua in onore del bastardino torturato per fini medici. Siamo tutti cavie sfruttate dal sistema, sembrano dire in coro uomini e animali. Ma è un lampo di unione temporanea perché i giovani dottorandi dell’ateneo non accettano la “provocazione” e distruggono la statua nel nome del bene della scienza a suon di martelli e picconi. Mason, giornalista del Guardian, rievoca una storia sconosciuta fatta di idealità e sensibilità, di lungimiranza antispecista e cieco fideismo scientifico. Oggi di quella statua e di quel cagnetto non c’è più traccia, ma per fortuna c’è questo libro che è racconto di cronaca, di archivio, di costume e di cultura di un’epoca e di un luogo che paiono specularmente alieni e identici all’oggi. Il bastardino così rivive nelle sue atroci sofferenze che sono la tortura di tutti, animali e non, sugli oppressi della terra.