Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto nella giornata di mercoledì 22 dicembre quello che è il consuetudinario saluto di fine anno del Capo del Governo ai giornalisti allo scopo di aggiornare il cosiddetto “Quarto Potere” sui progetti meno noti, sulle varianti, ecc. del suo programma: ai giornalisti, però, ha detto nella sostanza poco o niente di quanto già non si sapesse, come del resto ci si poteva benissimo attendere da un ex banchiere del suo calibro (avendo tra l’altro avuto come suoi maestri personaggi anch’essi di rilevanza mondiale come Cuccia, Carli, Ciampi e altri, che in questa arte erano dei veri “professori”). Un’arte che però nella politica raramente (anzi, quasi mai) trova largo consenso, essendo i banchieri più interessati ai capitali che alle persone.

Draghi però in questa occasione, forse anche per allontanare da lui quella caratteristica di avidità e individualismo tipica dei banchieri, ha esordito anche lui con un aggettivo utile a “riscaldare” i cuori delle persone. Giuseppe Conte al suo esordio aveva scelto l’appellativo di “avvocato del popolo”, una scelta che, partendo dalla sua personale esperienza professionale, lo indicava ora a disposizione del popolo che si accingeva a governare. Sentimento decisamente nobile che poi ha cercato veramente di attuare, nonostante la sua scarsa esperienza in campo politico, certo che, comunque, avrebbe avuto a sostenerlo in quel difficile impegno la compattezza di quelle persone che avevano creduto in quella “missione” politica di “Democrazia Diretta”: il Movimento di Beppe Grillo e GianRoberto Casaleggio, ideato con più sentimento che idee altissime, sparite nel “buco nero” dell’attuale politica italiana.

Per definirlo con un linguaggio più semplice e “popolare” si potrebbe dire che hanno volato con la fantasia ma non hanno saputo stare coi piedi per terra. Conte che almeno ha saputo, per ora, fermare la frana tremenda avviata dallo stesso Grillo con quella inqualificabile “sparata” in difesa del figlio, diventando in quel modo per il popolo che lo aveva votato senza partecipare un totale “corpo estraneo” che molti sperano ora di dimenticare in fretta.

Draghi invece, lui che è già un tecnico di altissimo livello in campo economico-bancario, ha scelto per il suo discorso di esordio una figura più bonaria e famigliare: quella del “nonno”, il genitore dei genitori. Normalmente visto nelle famiglie come il “buono e saggio” che aiuta i più giovani componenti, con i suo consigli e suggerimenti, a prendere la strada giusta e con i giusti mezzi. Ottima scelta a mio avviso, capace di allontanare un po’ i timori portati da alcune sue scelte tecniche, prese in tempi ridottissimi per completare il complesso programma necessario a restare nei margini di tempo stabiliti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) i cui fondi rientrano in gran parte nel più ampio “Next Generation Act” approvato dall’Unione Europea.

Nel suo discorso ai giornalisti e nelle risposte date alle loro domande, Draghi si è espresso nel modo che (credo) tutti si aspettavano, e cioè poco politico e molto “pragmatico”: “Non ho in mente una tavolozza colorata, ma i bisogni del paese”; “I Mercati guardano prima di tutto alla crescita”; “Abbiamo tassi di crescita che non si vedevano da anni, anzi, decenni!”. E molti altri riferimenti ancora, molto ben centrati in genere sul piano dell’economia e dei mercati, anche se, entrando nel merito, si è comportato sempre più da “banchiere” che da “nonno” (come appena pochi minuti prima aveva promesso!).

Magari fosse davvero mio nonno! Da lui vorrei avere più spiegazioni su quei “mercati” che da più di vent’anni guadagnano sempre, mentre noi “nipotini” troviamo sempre porte chiuse, a volte persino più chiuse dei molti immigrati che arrivano in Italia in cerca di un lavoro che persino i nostri figli non trovano e devono anche loro andare altrove a cercarlo (possibile che l’abbiano capito Giorgia Meloni e Matteo Salvini e non lo capisca lui?).

Verso la fine delle conferenza persino su una banale domanda sugli “spread” ha tergiversato, rispondendo da banchiere invece che da economista e capo del governo. Un bravo economista (lui lo è, ma è ancora vestito da “banchiere”) avrebbe potuto rispondere che avendo una moneta unica in Europa lo spread al suo interno non dovrebbe nemmeno esistere.

Ecco perché Draghi è al governo. Lui con le sue conoscenze economiche, e le esperienze da grande banchiere centrale, potrebbe fare molto per l’Italia, se vuole, ma restando nel posto in cui è, non puntando al Quirinale dove altri sono più esperti di lui. Potrà farlo tra sette anni, dopo che avrà aiutato davvero l’Italia ad uscire dall’acquitrino in cui si trova.

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