“Non è assistenzialismo, qui costruiamo percorsi di autonomia”. È questo l’obiettivo che la sartoria sociale Taivé porta avanti nel quartiere del Casoretto, nella periferia est di Milano. In questo laboratorio aperto dalla Caritas Ambrosiana nel 2009, donne di diverse etnie imparano a cucire e a realizzare vestiti sotto la guida di sarte professioniste. All’inizio il progetto era rivolto ad alcune famiglie di origine rom del nostro territorio ma con gli anni si è ampliato a tutte quelle donne con fragilità, vittime di tratta, maltrattamenti o violenze. “Abbiamo costruito un luogo di lavoro e di formazione dove si può ripartire acquisendo competenze professionali ma anche relazionali” spiega la responsabile Maria Squillaci. Oggi in questo laboratorio lavorano cinque donne. Tra queste c’è Deepika che dopo una laurea in economia in Sri Lanka è arrivata in Italia. “Ho lavorato per anni in una lavanderia ma non sapevo cucire” spiega mentre prepara una tovaglia. E così negli scorsi mesi ha imparato un nuovo mestiere e ha spiegato alle sue colleghe come si stirano gli abiti. In questi giorni le sarte stanno lavorando su una nuova linea: “Scartiamo”. Una collezione che nasce dal recupero di abiti e vestiti che altrimenti sarebbero stati buttati via. Da maggio Taivè ha iniziato a collaborare con la cooperativa Vestisolidale “per aggiungere un altro obiettivo al progetto cioè contribuire a sviluppare un’economia circolare” come spiega il presidente della cooperativa Matteo Lovetti. Cosìgli abiti di marca che vengono recuperati nei cassonetti per i vestiti della città vengono rimessi a posto dalle sarte di Taivé. Il sogno è quello di crescere sempre di più “per poter dare la possibilità di partecipare a questo progetto a una platea di donne sempre più ampia”.
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