A metà novembre due terzi dei Comuni siciliani non avevano ancora approvato il bilancio di previsione 2021-2023 e tuttora, a un passo dalla chiusura dell’esercizio finanziario, nella banca dati delle amministrazioni pubbliche mancano all’appello oltre 200 bilanci preventivi, più della metà dei quali attesi proprio da amministrazioni siciliane. I dati sono contenuti in un dossier elaborato per l’agenzia Adnkronos da Centro studi enti locali sulla base di dati governativi.

Molto spesso l’impasse è di natura tecnica. Il bilancio di previsione deve essere deliberato in pareggio finanziario complessivo per l’esercizio di competenza, cioè deve esserci equilibrio tra spese ed entrate finali. Per molti enti, soprattutto siciliani, le uscite superano nettamente le entrate e, non potendo più intervenire sul fronte spese (già ridotte al lumicino e al minimo previsto dalla legge), l’unica strada per raggiungere l’obiettivo sarebbe agire sulla leva delle entrate, aumentandole, ovvero, di ridurre gli accantonamenti e i disavanzi migliorando la capacità di riscossione delle proprie entrate.

Il fatto è che la capacità di riscuotere imposte e sanzioni è mediamente così bassa che gli incassi non bastano neanche a coprire il minimo sindacale che ogni comune deve garantire nell’ambito della propria gestione. Mettere nero su bianco questa impossibilità di pareggiare i conti, equivale a dichiarare il dissesto finanziario. Il risultato è lo stallo in cui si trovano oggi centinaia di enti. Tra gli enti che hanno passato quasi l’intero anno in esercizio provvisorio, accanto ai comuni siciliani ci sono anche quelli calabresi (11%), campani (9%), lombardi (4%), laziali (3%), piemontesi (3%), abruzzesi, pugliesi, lucani, marchigiani, sardi e molisani. Ma non è un caso che più del 60% fosse siciliano. La Sicilia sconta probabilmente una storica minore attenzione alla riscossione e, talvolta, scarsa prudenza da parte dei responsabili dei servizi finanziari.

Le criticità legate all’impossibilità di redigere dei bilanci di previsione si verificano per la maggior parte dei casi negli enti che spendono troppo e male. La spada di Damocle è sempre più spesso rappresentata non dal sovraindebitamento, bensì, paradossalmente, dal sovraccreditamento. Vale a dire che la vera falla del sistema è la bassissima capacità di riscossione di molte amministrazioni, i cui numerosi e ingenti crediti incagliati/di difficile esazione vanno a gonfiare a dismisura il fondo crediti di dubbia esigibilità e, sempre più spesso, rendono impossibile il raggiungimento del pareggio finale tra gli stanziamenti di entrata e di spesa del bilancio di previsione. Il fatto che tanti enti non possano offrire servizi adeguati o fare investimenti volti a favorire l’occupazione e sostenere l’economia locale, non giova né all’affezione verso la cosa pubblica, né alla capacità reddituale media e non crea terreno fertile per migliorare la fedeltà contributiva.

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