Rosanna Bonasia ha 44 anni e lavora a Città del Messico nell'ambito della vulcanologia. Ora si è presa un anno sabbatico per fare ricerca a Bari, la sua città d'origine: "Mi mancava. Tornare qui mi ha dato nuova forza e stimoli. Eppure il nostro Paese potrebbe fare molto di più per la ricerca"
“La decisione di andare via dall’Italia per continuare a fare ricerca l’ho presa rapidamente. Se ci avessi pensato su un po’ di più probabilmente non avrei avuto il coraggio di lasciare tutto e andare in Messico”. Rosanna Bonasia, ricercatrice di origini pugliesi, ha lasciato l’Italia nel 2010. Oggi, a Città del Messico, è professoressa all’Istituto Politecnico Nazionale, dove coordina il progetto che riguarda l’applicazione del super computer per il calcolo di danni causati da processi di interazione solido-fluido. “L’Italia – sorride – potrebbe fare molto di più per la ricerca”.
Rosanna ha 44 anni ed è nata a Bari. Dopo la laurea in Scienze Geologiche, la specialistica, il dottorato e il master in Termofluidodinamica a Roma, si è trasferita all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia a Napoli, facendo le sue ricerche nel campo della fluido dinamica computazionale. “Arrivata in Messico ho lavorato sull’analisi della dispersione di ceneri di vulcani attivi e sul calcolo del rischio relazionato”.
Undici anni fa il Messico investiva molto nella ricerca, ricorda Rosanna. “Era un Paese attivo da questo punto di vista. C’era tanto da fare e da studiare e i miei primi anni lì sono stati molto stimolanti”. Poi, con il passare del tempo, si è resa conto che il Messico è simile all’Italia sotto molti punti di vista. “Ho sperimentato gli stessi problemi di molti miei colleghi che sono rimasti in Italia e sono stati precari per tanto tempo”. Eppure la prima borsa di post-dottorato in Messico, spiega, “era molto più alta dell’assegno di ricerca che ricevevo in Italia”.
Oggi Rosanna si occupa di trovare soluzioni che minimizzino i danni causati da inondazioni e tsunami: “Calcolo le energie estraibili dalle correnti oceaniche, mi avvicino a tutto ciò che ha a che fare con i fluidi applicando modelli numerici”. Il suo contratto forse “non esiste in Italia”: “Un organismo simile al Cnr italiano mi ha assunto per prestarmi ad una istituzione universitaria. Svolgo le funzioni di un professore/ricercatore e usufruisco di un incentivo (che è un extra rispetto al mio stipendio) che cresce quanto più cresce la mia produzione scientifica”.
In Messico la pandemia ha avuto un forte impatto, spiega Rosanna, su tutto il settore educativo a livello nazionale: nell’istituzione presso la quale lavora, ad esempio, non sono ancora iniziate le lezioni in presenza. Città del Messico è enorme: “In genere ci metto circa un’ora per raggiungere il mio ufficio. Rispondo alle mail e ricevo gli studenti o faccio lezione. Il pomeriggio lo dedico allo studio e al lavoro dei miei articoli”.
Il rapporto con l’Italia per Rosanna è quello di una figlia adolescente con un genitore. “Amo il mio Paese ma siamo sempre in contrasto. Non riesco a prendere le cose così come sono, accettare passivamente gli eventi”. L’Italia – aggiunge – dovrebbe spendere molti più soldi per laboratori, progetti, salari dei ricercatori. “Spesso il lavoro che noi ricercatori facciamo viene riconosciuto solo quando otteniamo risultati importanti, come il recente premio Nobel per la fisica di Giorgio Parisi”.
Rosanna ricorda le notti insonni per preparare gli esami “che duravano ore”, professori e direttori esigenti. “Abbiamo studiato con programmi rigorosi e completi, la formazione universitaria della mia generazione è di altissimo livello. Eppure – continua – molti di noi quando decidono di tornare si scontrano con un nuovo scoglio: l’abilitazione scientifica nazionale, che ti costringe ad inserirti in una determinata categoria scientifica nonostante i nostri percorsi all’estero siano spesso multidisciplinari”.
In questo momento Rosanna si trova a Bari per svolgere un anno sabbatico di ricerca al Politecnico. “Avrei potuto scegliere di fare questo anno di ricerca altrove, ma ho deciso di tornare a casa perché mi mancava. Tornare in Italia mi ha ridato forza e stimoli per fare tanto ancora. Nonostante tutte le mie esperienze all’estero, in Italia mi sento sicura. Ho trovato al mio rientro una gentilezza che non ricordavo. Un po’ di pregiudizi forse li avevo anche io. Ammetto che mi sto ricredendo”. Ai giovani Rosanna consiglia di non scoraggiarsi: “Ci sono sempre i momenti negativi, per tutte le generazioni”, avvisa. La sua vita non riesce a immaginarla senza la ricerca. “Spero vivamente di avere ancora la possibilità di fare ricerca quando avrò 55 anni. La ricerca mi ha resa libera. Non sarei stata capace di fare altro nella mia vita. Probabilmente avrei potuto – conclude –, ma non sarei stata felice”.