Non è facile dire oggi quale sia la strategia europea per i migranti, o anche solo se ne esista una ufficiale. Sul tavolo c’è la nuova proposta della Commissione europea per superare gli Accordi di Dublino e “ricostruire la fiducia tra gli Stati membri”. Ma solo a parole. Perché la solidale Europa che vorrebbe la redistribuzione dei richiedenti asilo in tutti gli stati mette subito le mani avanti e parla di “obbligo flessibile“, come lo definisce la stessa Commissione. E il paese che non vuole migranti può finanziare le espulsioni operate da un altro stato membro o addirittura la “gestione dei flussi” da parte di paesi terzi. Ed è proprio quest’ultima opzione che meglio di altre si adatta a ciò che è già in atto lungo i confini esterni dell’Europa, come quelli attraversati dalla cosiddetta rotta balcanica. Il tema è al centro del nuovo dossier di RiVolti ai Balcani, rete alla quale aderiscono decine di realtà, da Amnesty International Italia alla rivista indipendente Altreconomia che ha collaborato alla stesura del rapporto, disponibile da oggi 27 dicembre (scarica). “Lipa, il campo dove fallisce l’Europa“, è il titolo del lavoro che sarà presentato oggi alle 18:30 in una conferenza online (segui la diretta) alla quale parteciperanno anche gli europarlamentari Elisabetta Gualmini e Pietro Bartolo. Il dossier analizza la strategia dietro al nuovo Temporary reception Centre (Trc) di Lipa, sull’altopiano nella municipalità di Bihać in Bosnia ed Erzegovina, al confine con la Croazia. Perché si tratta di un centro finanziato con fondi dell’Unione e di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia. “Soldi coi quali appaltiamo al di fuori dei confini europei il compito di fermare e confinare le persone in arrivo, ben sapendo che hanno bisogno di protezione e quindi negando ciò che il diritto europeo e internazionale riconosce loro”, spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), che dal 1998 tutela rifugiati e richiedenti asilo nel Friuli Venezia Giulia, e autore del report insieme a Anna Clementi, Diego Saccora e al direttore di Altreconomia, Duccio Facchini.
L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra che vieta il respingimento di richiedenti asilo verso un paese non sicuro è poco più d’un fastidio per un’Europa dove lo scorso ottobre dodici paesi hanno scritto alla Commissione europea per chiedere il finanziamento di barriere fisiche lungo i confini esterni. Perché se i muri targati Ue ancora non si vedono, già paghiamo perché in un paese confinante si costruiscano centri dove confinare i rifugiati ai quali si impedisce di chiedere asilo in Europa. Accade sul confine nord occidentale tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia, tuttora il principale snodo della rotta balcanica per l’ingresso in Europa. Ma soprattutto teatro di respingimenti, violenze e torture da parte della polizia croata, già oggetto di denunce al Consiglio d’Europa e costate a Zagabria una condanna da parte della Corte europea per i diritti umani dopo la morte di una donna respinta. Nonostante i rischi, all’ormai noto “The Game“, il passaggio della frontiera attraverso i boschi, non c’è alternativa. Perché la Bosnia non offre nulla se non la sospensione della vita e dei propri diritti. Basti pensare che negli ultimi quattro anni il paese ha riconosciuto lo status di rifugiato ad appena sette persone. Mentre sono del tutto inesistenti i programmi di integrazione sociale per gli sporadici beneficiari di protezione sussidiaria. Sarebbero circa quattromila le persone bloccate in questo limbo, comprese alcune centinaia di bambini, per lo più afghani. Numeri e fatti riportati nel dossier di RiVolti ai Balcani, “che si inquadrano nel crollo generale del sistema giuridico europeo di tutela dei diritti umani“, scrivono gli autori.
E siccome le immagini delle violenze e quelle delle condizioni in cui vivono migliaia di migranti in Bosnia hanno fatto il giro del mondo, col rischio che l’opinione pubblica internazionale chieda all’Europa un esame di coscienza, l’Unione europea ha pensato bene di investire per dare al confinamento dei migranti in terra bosniaca una dignità almeno apparente. L’esperimento riguarda il nuovo campo di Lipa, già inaugurato nell’aprile 2020, chiuso per gli standard inadeguati e definitivamente bruciato in un incendio che ha distrutto le tende e lasciato all’addiaccio 1200 persone. Eventi che però non hanno impedito di continuare a considerare l’area, priva di ogni servizio e a 24 chilometri dal primo centro abitato, il posto ideale dove mettere centinaia di persone, compresi tanti minori non accompagnati. E infatti il 19 novembre scorso è stato inaugurato il nuovo campo, il Temporary reception centre che di temporaneo ha ben poco, se non l’intenzione dei migranti di lasciarlo e tentare la sorte con la polizia croata, che tra luglio e novembre avrebbe respinto “più di 6mila persone”, secondo il rapporto di sette organizzazioni presenti nel territorio. Il centro è gestito dal Servizio per gli affari esteri bosniaco in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, le agenzie delle Nazioni Unite e una serie di altri partner come Unicef e Croce Rossa. Mentre i soldi li mette l’Europa. L’Ue al 50 percento e poi Austria e Germania con un 20 percento a testa, la Svizzera e anche l’Italia, con 1,5 milioni di euro dei quali 80mila euro per dotare il campo di acqua ed elettricità, 422mila euro per costi operativi nell’arco di 16 mesi e un milione per “raccolta dati, monitoraggio e analisi dei flussi delle persone in transito nel Paese”, si legge nel rapporto.
Soldi europei e italiani per un luogo la cui collocazione isolata già basta a ledere una serie di diritti, soprattutto quando si tratta di minori ai quali non sono garantiti nemmeno i principi sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, come quello che tutela il loro “sviluppo fisico, mentale spirituale, morale e sociale”, per non parlare del diritto all’istruzione. Quanto alla “temporaneità”, secondo RiVolti ai Balcani si tratta di un falso. “Se le persone non rischiano il Game possono restare nel campo per un tempo indefinito e senza che nulla sul piano giuridico e umano si evolva”, spiega Gianfranco Schiavone, ricordando ancora una volta come in Bosnia le istanze di asilo accolte si contino sulle dita delle mani e la totale assenza di programmi di reinsediamento verso l’Ue o altri paesi, anche nei casi più vulnerabili. “L’unica strategia è quella di nascondere le persone in questi centri, dove la vita è sospesa e ben isolata da un qualsiasi contesto sociale”, continua Schiavone. E poi: “Mi sembra ci sia una gran voglia di considerare la Bosnia, paese dilaniato e sull’orlo dell’implosione, un “paese sicuro” dove poter respingere i migranti per confinarli nelle condizioni descritte nel rapporto”. Tornando alla strategia europea, il dossier chiarisce perché quella dei respingimenti e dei campi come Lipa “sembra divenuta la principale risposta che l’Unione europea voglia fornire in relazione alla gestione dei flussi migratori ai suoi confini”. E ancora: “Lipa non è né un centro di prima accoglienza, né un centro per coloro che chiedono asilo“, ma un luogo dove la situazione dei presenti “può evolvere solo con la sparizione della persona che riesce a “passare” il confine a prezzo di sofferenze indicibili o con la sua decisione di modificare la rotta”.
Mondo
Migranti, soldi dell’Italia per confinarli nel centro bosniaco di Lipa. Il dossier: “Campi e respingimenti, questa la vera strategia Ue”
L'Italia ha finanziato con un milione e mezzo di euro il Temporary reception Centre sul confine tra Bosnia e Croazia. Il nuovo rapporto della rete RiVolti ai Balcani spiega perché non c'è niente di veramente temporaneo e svela il volto di un'Europa che parla di quote di redistribuzione e solidarietà mentre investe sui respingimenti costruendo luoghi dove le persone sono dimenticate e i diritti fondamentali sospesi
Non è facile dire oggi quale sia la strategia europea per i migranti, o anche solo se ne esista una ufficiale. Sul tavolo c’è la nuova proposta della Commissione europea per superare gli Accordi di Dublino e “ricostruire la fiducia tra gli Stati membri”. Ma solo a parole. Perché la solidale Europa che vorrebbe la redistribuzione dei richiedenti asilo in tutti gli stati mette subito le mani avanti e parla di “obbligo flessibile“, come lo definisce la stessa Commissione. E il paese che non vuole migranti può finanziare le espulsioni operate da un altro stato membro o addirittura la “gestione dei flussi” da parte di paesi terzi. Ed è proprio quest’ultima opzione che meglio di altre si adatta a ciò che è già in atto lungo i confini esterni dell’Europa, come quelli attraversati dalla cosiddetta rotta balcanica. Il tema è al centro del nuovo dossier di RiVolti ai Balcani, rete alla quale aderiscono decine di realtà, da Amnesty International Italia alla rivista indipendente Altreconomia che ha collaborato alla stesura del rapporto, disponibile da oggi 27 dicembre (scarica). “Lipa, il campo dove fallisce l’Europa“, è il titolo del lavoro che sarà presentato oggi alle 18:30 in una conferenza online (segui la diretta) alla quale parteciperanno anche gli europarlamentari Elisabetta Gualmini e Pietro Bartolo. Il dossier analizza la strategia dietro al nuovo Temporary reception Centre (Trc) di Lipa, sull’altopiano nella municipalità di Bihać in Bosnia ed Erzegovina, al confine con la Croazia. Perché si tratta di un centro finanziato con fondi dell’Unione e di alcuni Stati membri, tra cui l’Italia. “Soldi coi quali appaltiamo al di fuori dei confini europei il compito di fermare e confinare le persone in arrivo, ben sapendo che hanno bisogno di protezione e quindi negando ciò che il diritto europeo e internazionale riconosce loro”, spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), che dal 1998 tutela rifugiati e richiedenti asilo nel Friuli Venezia Giulia, e autore del report insieme a Anna Clementi, Diego Saccora e al direttore di Altreconomia, Duccio Facchini.
L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra che vieta il respingimento di richiedenti asilo verso un paese non sicuro è poco più d’un fastidio per un’Europa dove lo scorso ottobre dodici paesi hanno scritto alla Commissione europea per chiedere il finanziamento di barriere fisiche lungo i confini esterni. Perché se i muri targati Ue ancora non si vedono, già paghiamo perché in un paese confinante si costruiscano centri dove confinare i rifugiati ai quali si impedisce di chiedere asilo in Europa. Accade sul confine nord occidentale tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia, tuttora il principale snodo della rotta balcanica per l’ingresso in Europa. Ma soprattutto teatro di respingimenti, violenze e torture da parte della polizia croata, già oggetto di denunce al Consiglio d’Europa e costate a Zagabria una condanna da parte della Corte europea per i diritti umani dopo la morte di una donna respinta. Nonostante i rischi, all’ormai noto “The Game“, il passaggio della frontiera attraverso i boschi, non c’è alternativa. Perché la Bosnia non offre nulla se non la sospensione della vita e dei propri diritti. Basti pensare che negli ultimi quattro anni il paese ha riconosciuto lo status di rifugiato ad appena sette persone. Mentre sono del tutto inesistenti i programmi di integrazione sociale per gli sporadici beneficiari di protezione sussidiaria. Sarebbero circa quattromila le persone bloccate in questo limbo, comprese alcune centinaia di bambini, per lo più afghani. Numeri e fatti riportati nel dossier di RiVolti ai Balcani, “che si inquadrano nel crollo generale del sistema giuridico europeo di tutela dei diritti umani“, scrivono gli autori.
E siccome le immagini delle violenze e quelle delle condizioni in cui vivono migliaia di migranti in Bosnia hanno fatto il giro del mondo, col rischio che l’opinione pubblica internazionale chieda all’Europa un esame di coscienza, l’Unione europea ha pensato bene di investire per dare al confinamento dei migranti in terra bosniaca una dignità almeno apparente. L’esperimento riguarda il nuovo campo di Lipa, già inaugurato nell’aprile 2020, chiuso per gli standard inadeguati e definitivamente bruciato in un incendio che ha distrutto le tende e lasciato all’addiaccio 1200 persone. Eventi che però non hanno impedito di continuare a considerare l’area, priva di ogni servizio e a 24 chilometri dal primo centro abitato, il posto ideale dove mettere centinaia di persone, compresi tanti minori non accompagnati. E infatti il 19 novembre scorso è stato inaugurato il nuovo campo, il Temporary reception centre che di temporaneo ha ben poco, se non l’intenzione dei migranti di lasciarlo e tentare la sorte con la polizia croata, che tra luglio e novembre avrebbe respinto “più di 6mila persone”, secondo il rapporto di sette organizzazioni presenti nel territorio. Il centro è gestito dal Servizio per gli affari esteri bosniaco in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, le agenzie delle Nazioni Unite e una serie di altri partner come Unicef e Croce Rossa. Mentre i soldi li mette l’Europa. L’Ue al 50 percento e poi Austria e Germania con un 20 percento a testa, la Svizzera e anche l’Italia, con 1,5 milioni di euro dei quali 80mila euro per dotare il campo di acqua ed elettricità, 422mila euro per costi operativi nell’arco di 16 mesi e un milione per “raccolta dati, monitoraggio e analisi dei flussi delle persone in transito nel Paese”, si legge nel rapporto.
Soldi europei e italiani per un luogo la cui collocazione isolata già basta a ledere una serie di diritti, soprattutto quando si tratta di minori ai quali non sono garantiti nemmeno i principi sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, come quello che tutela il loro “sviluppo fisico, mentale spirituale, morale e sociale”, per non parlare del diritto all’istruzione. Quanto alla “temporaneità”, secondo RiVolti ai Balcani si tratta di un falso. “Se le persone non rischiano il Game possono restare nel campo per un tempo indefinito e senza che nulla sul piano giuridico e umano si evolva”, spiega Gianfranco Schiavone, ricordando ancora una volta come in Bosnia le istanze di asilo accolte si contino sulle dita delle mani e la totale assenza di programmi di reinsediamento verso l’Ue o altri paesi, anche nei casi più vulnerabili. “L’unica strategia è quella di nascondere le persone in questi centri, dove la vita è sospesa e ben isolata da un qualsiasi contesto sociale”, continua Schiavone. E poi: “Mi sembra ci sia una gran voglia di considerare la Bosnia, paese dilaniato e sull’orlo dell’implosione, un “paese sicuro” dove poter respingere i migranti per confinarli nelle condizioni descritte nel rapporto”. Tornando alla strategia europea, il dossier chiarisce perché quella dei respingimenti e dei campi come Lipa “sembra divenuta la principale risposta che l’Unione europea voglia fornire in relazione alla gestione dei flussi migratori ai suoi confini”. E ancora: “Lipa non è né un centro di prima accoglienza, né un centro per coloro che chiedono asilo“, ma un luogo dove la situazione dei presenti “può evolvere solo con la sparizione della persona che riesce a “passare” il confine a prezzo di sofferenze indicibili o con la sua decisione di modificare la rotta”.
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Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi americani in Yemen sono "un avvertimento per gli Houthi e per tutti i terroristi". Lo ha detto a Fox News il vice inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, sottolineando che "questa non è l'amministrazione Biden. Se colpisci gli Stati Uniti, il presidente Trump risponderà. Il presidente Trump sta ripristinando la leadership e la deterrenza americana in Medio Oriente".
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Steve Witkoff, ha definito "inaccettabili" le ultime richieste di Hamas in merito al cessate il fuoco a Gaza. Riferendosi alla conferenza del Cairo di inizio mese, l'inviato statunitense per il Medio Oriente ha detto alla Cnn di aver "trascorso quasi sette ore e mezza al summit arabo, dove abbiamo avuto conversazioni davvero positive, che descriverei come un punto di svolta, se non fosse stato per la risposta di Hamas".
Hamas avrebbe insistito affinché i negoziati per un cessate il fuoco permanente iniziassero lo stesso giorno del prossimo rilascio di ostaggi e prigionieri palestinesi. Secondo Al Jazeera, Hamas ha anche chiesto che, una volta approvato l'accordo, i valichi di frontiera verso Gaza venissero aperti, consentendo l'ingresso degli aiuti umanitari prima del rilascio di Edan Alexander e dei corpi di quattro ostaggi. Inoltre, il gruppo ha chiesto la rimozione dei posti di blocco lungo il corridoio di Netzarim e l'ingresso senza restrizioni per i residenti di Gaza che tornano dall'estero attraverso il valico di Rafah.
"Abbiamo trascorso parecchio tempo a parlare di una proposta di ponte che avrebbe visto il rilascio di cinque ostaggi vivi, tra cui Edan Alexander, e anche, tra l'altro, il rilascio di un numero considerevole di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane", ha detto Witkoff. "Pensavo che la proposta fosse convincente: gli israeliani ne erano stati informati e avvisati in anticipo". "C'è un'opportunità per Hamas, ma si sta esaurendo rapidamente", ha continuato Witkoff. " Con quello che è successo ieri con gli Houthi, ciò che è successo con il nostro ordine di attacco, incoraggerei Hamas a diventare molto più ragionevole di quanto non sia stato finora".
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - L'esercito israeliano ha scoperto un nascondiglio di armi nel campo profughi di Nur Shams, fuori Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale. Lo ha reso noto l'Idf, precisando che sono state rinvenute diverse borse contenenti armi, una delle quali conteneva anche un giubbotto con la scritta 'Unrwa'. Le armi confiscate sono state consegnate alle forze di sicurezza per ulteriori indagini.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un missile lanciato dagli Houthi è caduto a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai. Lo ha riferito la radio dell'esercito israeliano, aggiungendo che l'Idf sta indagando per stabilire se il missile fosse diretto contro Israele.
Passo del Tonale, 15 mar.(Adnkronos) - Che l’aspetto competitivo fosse tornato ad essere il cuore pulsante di questa quinta edizione della Coppa delle Alpi era cosa già nota. Ai piloti il merito di aver offerto una gara esaltante, che nella tappa di oggi ha visto Alberto Aliverti e Francesco Polini, sulla loro 508 C del 1937, prendersi il primo posto in classifica scalzando i rivali Matteo Belotti e Ingrid Plebani, secondi al traguardo sulla Bugatti T 37 A del 1927. Terzi classificati Francesco e Giuseppe Di Pietra, sempre su Fiat 508 C, ma del 1938. La neve, del resto, è stata una compagna apprezzatissima di questa edizione della Coppa delle Alpi, contribuendo forse a rendere ancor più sfidante e autentica la rievocazione della gara di velocità che nel 1921 vide un gruppo di audaci piloti percorrere 2300 chilometri fra le insidie del territorio alpino, spingendo i piloti a sfoderare lo spirito audace che rappresenta la vera essenza della Freccia Rossa.
Nel pomeriggio di oggi, dalla ripartenza dopo la sosta per il pranzo a Baselga di Piné, una pioggia battente ha continuato a scendere fino all’arrivo sul Passo del Tonale, dove si è trasformata in neve. Neve che è scesa copiosa anche in occasione del primo arrivo di tappa a St. Moritz e ieri mattina, sul Passo del Fuorn. Al termine di circa 880 chilometri attraverso i confini di Italia, Svizzera e Austria, i 40 equipaggi in gara hanno finalmente tagliato il traguardo alle 17:30 di oggi pomeriggio all’ingresso della Pista Ghiaccio Val di Sole, dove hanno effettuato il tredicesimo ed ultimo Controllo Orario della manifestazione.
L’ultimo atto sportivo dell’evento è stato il giro nel circuito, all’interno del quale le vetture si sono misurate in una serie di tre Prove Cronometrate sulla neve fresca valide per il Trofeo Ponte di Legno, vinto da Francesco e Giuseppe Di Pietra. L’altro trofeo speciale, il Trofeo Città di Brescia, ovvero la sfida 1 vs 1 ad eliminazione diretta di mercoledì sera in Piazza Vittoria, era stato anch’esso vinto da Aliverti-Polini.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.