di Carmelo Sant’Angelo

Com’è noto a tutti, anche al ministro Roberto Cingolani, Catone il Censore fu l’artefice dello scoppio della terza guerra punica. Nel 157 a.C., facendo parte della delegazione mandata a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi e il re di Numidia, maturò la profonda convinzione che la sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione totale di Cartagine. Da quel momento, ogni suo intervento in Senato terminava con queste parole: Ceterum censeo Carthaginem delendam esse (“Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta.”).

L’abate Lhomond, grammatico ed erudito francese del XVIII secolo, ci svela l’astuto stratagemma con cui il nostro riuscì a vincere la resistenza dei colleghi senatori a muovere guerra contro Cartagine. Portò alla curia un fico precoce e, scuotendo la toga, lo fece vedere a tutti. Ai senatori che ne ammiravano la bellezza, Catone chiese loro quando pensavano che fosse stato raccolto. I senatori affermarono che sembrava freschissimo. “Eppure sappiate che è stato colto tre giorni fa a Cartagine; ecco quanto siamo vicini al nemico”. Cartagine, infatti, era solo a tre giorni di navigazione da Roma. Quest’arringa inquietò i senatori, che si decisero a dichiarare guerra.

Se oggi ci fosse un odierno Catone (potrebbe forse essere il senatore Elio Lanutti?), in occasione della seduta comune per l’elezione del futuro inquilino del Quirinale, dovrebbe agitare nel drappeggio della toga una manciata di olive, nelle diverse varianti: Kalamata, Thasos, Chios, Pelion, Calcidica ecc. Poi, rivolgendosi ai colleghi, chiedere dove siano state raccolte. Sono tutte olive della vicina Grecia, la stessa Grecia affamata dalle ricette della troika (Bce, Fmi, Ue). E dovrebbe ricordare, all’illustre sinedrio, il ruolo della Bce. In particolare, ricordare la condotta di Mario Draghi, come nitidamente emerge dall’audio delle riunioni dell’Eurogruppo registrate dal ministro greco Yanis Varoufakis.

Nella riunione del 12 febbraio 2015, l’imperscrutabile ghigno draghesco svela il tratto feroce del capitalismo finanziario: in mancanza di riforme draconiane, la Bce avrebbe sospeso l’autorizzazione (waiver) con cui le banche greche ottenevano liquidità a tasso agevolato. Come ogni minaccia che si rispetti, c’è anche un ultimatum: il successivo 30 giugno. Il premier Tsipras, che non intende piegarsi al ricatto, forte di una tradizione democratica millenaria, il 27 giugno si appella al popolo indicendo un referendum consultivo. Il giorno dopo, il 28 giugno, la Bce chiude la linea di liquidità di emergenza e, conseguentemente, le banche greche serrano i battenti.

Ricordiamo tutti le lunghe file per ritirare pochi euro, con gli anziani in fila che svenivano in coda sotto il solleone del Peloponneso. I greci votano in maggioranza contro la ricetta della troika, ma Tsipras è obbligato ad arrendersi al potere finanziario, condannando il suo popolo ai tormenti dell’austerità. Varoufakis si dimette. Dei 241 miliardi concessi dalla Bce alla Grecia, 87 sono stati utilizzati per rimborsare vecchi debiti alle banche straniere, 52 per il pagamento degli interessi sui debiti in scadenza. La sola Germania ottiene il pagamento di 1,3 miliardi di euro di soli interessi.

La morsa di Draghi è servita a onorare i crediti delle banche francesi e tedesche. Ma che sembianze aveva questa morsa? Le pensioni dei greci sono state ridotte 13 volte: dopo il 2011 sono state tagliate del 40% e nel 2019 di un ulteriore 18%. Nei primi due anni di austerità i suicidi sono aumentati del 35%, la spesa per la sanità è scesa dal 9,3% del Pil al 5%. I tagli alla sanità pubblica, sempre nei due anni successivi, hanno causato l’incremento del 43% della mortalità infantile e il 22% dei Greci ha rinunciato a curarsi per incapienza finanziaria. Per tutto questo, onorevoli colleghi, la candidatura di Draghi delenda est.

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