Mentre corrono le voci sui possibili nomi del prossimo Capo dello Stato, spunta una pagina di un libro sulla P2 che riporta il passato all’oggi (o l’oggi al passato). Sandra Bonsanti nella sua memorialistica politica sulla Loggia del Venerabile Licio da Arezzo (Colpevoli, Chiarelettere) ricorda in un capitolo chiamato ‘Gelli, repubblica presidenziale’, un episodio che ci parla dei nostri giorni.

Siamo nel 1987, durante una delle tante crisi politiche dopo le dimissioni del governo Craxi. Anche Andreotti è in pista, il 22 marzo scrive sul suo Diario: “Non ritengo sia una via di uscita la proposta di Amato [l’appoggio del PSI a un suo governo, nda] a fronte del mio impegno a sostenere l’elezione diretta del presidente della Repubblica, una riforma costituzionale così rilevante deve inquadrarsi in un sistema organico di riassetto e non può ridursi a un problema personale”.

Traduciamo: i socialisti avevano mandato Giuliano Amato, il più antico sostenitore del presidenzialismo, a trattare: appoggiamo un tuo governo in cambio della riforma. Ma Andreotti è una vecchia volpe e non si lascia incantare. A luglio, ricorda Sandra, nacque un governo Goria e il vecchio Giulio, che disse di no per amor proprio più che per quello della repubblica democratica, tornò agli Esteri. Le pulsioni golpiste vibravano ancora nell’aria e per lui sarebbe stato poco opportuno riaccendere le speranze dei settori autoritari del Paese, che lui conosceva bene, e sempre ben vigili.

I socialisti di Craxi avevano un amore sconfinato per il presidenzialismo, forse l’ispirazione era atlantica, dovevano accreditarsi in quegli ambienti, e nel ’79 su L’Avanti avevano formalmente presentato la proposta. Giuliano Amato che oggi non pochi vorrebbero all’alto Colle fu allora il maggiore sponsor della pseudo riforma che era stata nel cuore di Gelli e dei piduisti più di ogni altra cosa.

È vero, allora ci salvammo per una particolare combinazione di circostanze. La sinistra e parte della Dc puntarono i piedi contro l’elezione diretta del capo dello Stato: toglierebbe al sistema l’uomo (o la donna, direbbe Conte) super partes, poi resterebbe soltanto l’uomo forte. Lo stragismo, fatto anche per stracciare via la nostra Carta costituzionale, aveva aperto piaghe ancora sanguinanti, non si poteva andargli incontro così, come se non fosse stato, mentre ancora si piangevano le vittime (e doveva ancora arrivare l’ondata di quello di stampo mafioso).

Insomma, ci salvammo ma poi le spinte presidenzialiste sono state accarezzate da tanti. Non è che ora si voglia tornare di lì? Quella rumorosa candidatura di Goffredo Bettini di un giudice costituzionale che viene da quella storia, che fu di Craxi potente voce diretta e fedele, e sponsor di quella riforma delle riforme, vuole riportare l’oggi a ieri? (o ieri all’oggi?). No, grazie. E stiamo accorti.

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