“Il taglio dell’Irpef premia i redditi medio alti” (La Stampa). “Irpef, chi perde e chi guadagna: ai dirigenti il beneficio maggiore” (Repubblica). “L’Upb: favoriti i redditi medio alti” (Corriere). Dodici giorni dopo lo sciopero generale e sei giorni dopo la conferenza stampa di fine anno, durante la quale Mario Draghi rispondendo a una specifica domanda del fattoquotidiano.it ha detto che “i principali beneficiari della riforma fiscale sono lavoratori e pensionati a reddito medio basso”, i grandi giornali mettono nero su bianco che le cose non stanno così. Citando una nota dell’Ufficio parlamentare di bilancio oggi spiegano che la fascia per la quale arriveranno i maggiori vantaggi è quella poco sopra i 40mila euro di reddito, a fronte di un imponibile medio che per i lavoratori dipendenti si ferma a 21mila. Cifre che non sono certo una sorpresa: lo studio risale al 20 dicembre e tutte le precedenti simulazioni, comprese quelle del Tesoro, dicevano lo stesso, come scritto più volte dal fattoquotidiano.it. L’unica cosa che è cambiata, nel frattempo, è che Draghi ha lasciato intendere che non disdegnerebbe la salita al Colle, suscitando una reazione fredda – per la prima volta dopo 10 mesi di governo – da parte dei leader dei partiti di maggioranza.

Da notare che nessuno degli articoli (a differenza del servizio del Tg La7 andato in onda lunedì sera) rileva il contrasto tra le simulazioni dell’Upb a cui ora viene dato tanto risalto e l’affermazione tranchant del premier, che – di fronte alla richiesta di motivare la scelta di un intervento vantaggioso soprattutto per i redditi medio alti – aveva scandito: “Non è vero“. Scatenando l’esultanza di un gruppo di fan che via Twitter ha pesantemente ironizzato sulla domanda, spesso con l’hashtag #sdeng ma senza andare per il sottile sul merito della questione.

Primo della lista il deputato renziano Luigi Marattin, presidente della commissione Bilancio della Camera, secondo cui il giornalista del fatto.it aveva “ripetuto le bufale su cui è stato indetto lo sciopero”: oggi Marattin riconosce che in effetti è vero, con la riforma si è “dato un po’ di più – in valore assoluto – alla fascia 40-50mila euro”, ma “era la fascia più ignorata negli ultimi 10 anni”. Non di bufala si trattava, dunque. Gran successo social anche per il tweet del giornalista e blogger esperto di internet Massimo Mantellini che ha colto l’occasione per blastare Il Fatto (“Il giornalista fa la domanda citando dati economici sul calo delle tasse. Draghi risponde: quello che ha detto non è vero, grazie. In pratica la storia del Fatto Quotidiano in dieci secondi”).

E dire che i numeri sono cristallini. Aver destinato i 7 miliardi disponibili al taglio delle aliquote Irpef per razionalizzare quelle marginali, invece che concentrarsi sulle imposte che gravano sulle buste paga dei lavoratori, comporta inevitabilmente che ci guadagni di più chi oggi versa di più. “Si è dato maggior peso all’efficienza rispetto all’equità”, come hanno sintetizzato su lavoce.info Silvia Giannini e Simone Pellegrino. Le stesse tabelle del Tesoro, mai presentate ufficialmente ma pubblicate da alcune testate proprio nel giorno dello sciopero con titoli che avvaloravano la versione del governo (“Così il mix favorisce i redditi più bassi”, era per esempio quello della Stampa), restituiscono dati identici a quelli elaborati dalla Cgil. Mostrando che l’intervento sulle aliquote e la riforma delle detrazioni garantiscono il risparmio maggiore in corrispondenza dei 40mila euro di reddito: 945 euro l’anno contro i 204 euro l’anno che resteranno in tasca a chi ha uno stipendio da 20mila euro lordi. Solo nel 2022 i redditi fino a 35mila euro avranno un piccolissimo vantaggio aggiuntivo grazie alla mini decontribuzione dello 0,8%. Sommando anche questo risparmio (come ha fatto Draghi leggendo le tabelle Mef) si ottiene in effetti che l‘incidenza percentuale dei benefici per un lavoratore single con 15mila euro di reddito è superiore a quella di uno che ne guadagna 40mila. Ma il confronto lascia il tempo che trova, visto che il taglio dei contributi a differenza della riforma Irpef vale solo per un anno. Per tacere il fatto che quel che conta, a fine mese, è la cifra assoluta e non certo la percentuale. E con 17 euro al mese non si fa molto.

La Stampa, 16 dicembre
La Stampa. 28 dicembre

Discorso analogo per l’assegno unico per i figli, che non è ovviamente incluso nelle simulazioni dell’Upb perché nulla c’entra con la riforma Irpef, dipende dall’Isee familiare e verrà versato solo a chi ne fa richiesta all’Inps (sulla carta ne hanno diritto poco più di 7 milioni di famiglie con figli, su una platea di 25 milioni di nuclei tra cui quelli composti da una sola persona). Anche in questo caso, comunque, le tabelle del Mef mostrano che i maggiori vantaggi della misura, ipotizzando un improbabile Isee pari a zero, andranno ancora una volta a chi ha redditi complessivi da 40mila euro annui: 2.068 euro l’anno per un nucleo monoreddito con due figli e 2.455 euro l’anno per una coppia con due figli in cui entrambi i coniugi lavorano e uno dei due guadagna 15mila euro. Una famiglia con lo stesso numero di figli e in cui entra un solo stipendio di 10mila euro lordi l’anno dovrà accontentarsi di un vantaggio netto, per effetto del nuovo assegno, pari a 1.100 euro annui. Sdeng?

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