Si fa presto a dire categorie protette. Poi la realtà dell’ingresso nel mondo dei lavoro dei disabili certificati con una quota inferiore al 60% è una jungla che di tutela alla disabilità ha ben poco. La vicenda di Alessandro Nardi è solo uno dei tanti esempi. Lui vive a Follina, in provincia di Treviso, territorio dove generalmente il lavoro c’è. Ha 36 anni e un’invalidità civile al 50% sopraggiunta quando già lavorava da tempo. Per questo motivo ha deciso di provare a iscriversi alle liste delle categorie protette per le persone disabili con invalidità certificata. Ha scoperto, però a sue spese, che data la sua invalidità inferiore alla quota del 60% secondo la legge vigente deve prima obbligatoriamente licenziarsi per poter procedere alla richiesta di iscrizione al collocamento mirato.
“Purtroppo non posso rientrare nelle categorie protette non solo all’interno della mia stessa azienda, ma addirittura non posso iscrivermi neanche alle apposite liste se prima non firmo le dimissioni, abbandonando la mia attuale occupazione. Seguendo la normativa in vigore – continua – nessuno però può assicurarmi che sarò riassunto rientrando nel computo dei lavoratori delle categorie protette”, denuncia a Nardi ilfattoquotidiano.it.
Nonostante questo salto nel buio senza garanzia di nuova occupazione, Nardi il 30 novembre ha deciso di terminare il suo rapporto di lavoro presso una fabbrica artigianale che produce mobili. Dal 1 dicembre ha voluto iscriversi nelle liste delle categorie protette italiane, anche se per tre mesi andrà a vivere negli Stati Uniti dove risiede la sua compagna. “Ora mi sono iscritto al collocamento mirato chiedendo di essere collocato in un’altra azienda, aspetterò che mi offrano un nuovo lavoro”, racconta Nardi.
La situazione ha assunto toni ancora più preoccupanti per lui perché, sentendo l’Inps, ha scoperto inoltre che dovendosi licenziare per usufruire di un suo diritto di persona invalida civile che vuole iscriversi alle categorie protette non può far risultare il suo licenziamento come giusta causa, perdendo tutti i diritti acquisiti in anni di lavoro, compreso il suo precedente contratto di lavoro con l’articolo 18. “Ho scritto una mail alla sede territoriale di competenza dell’Inps che mi ha risposto che il mio caso non rientra nella casistica delle Dimissioni per giusta causa, quindi dovessi dimettermi non potrei neanche aver diritto alla Naspi”.
Nardi per affrontare questo delicato passaggio di transizione della sua vita professionale, ha chiesto aiuto all’Anmic che lo ha aiutato a completare tutte le pratiche burocratiche necessarie per l’iscrizione al collocamento mirato. “Con il sopraggiungere della mia invalidità, in azienda lo stesso mi veniva spesso richiesto di avere compiti ed orari incompatibili con la mia nuova condizione di salute. Ho deciso che non potevo continuare a lavorare in questa situazione. Purtroppo non esiste nessun tipo di ammortizzatore sociale per tutelarmi in questo passaggio”, sottolinea Nardi. Quello raccontato è un meccanismo non favorevole che crea forti disagi per tanti come lui. “Per il momento non ho figli e vivo con i miei genitori che mi possono aiutare. Con la perdita del lavoro non vivo una situazione di gravità estrema, ma immagino altre persone con disabilità che potrebbero trovarsi in situazioni ben peggiori, chi li assisterebbe?”.
Marino Bottà, direttore generale dell’Agenzia nazionale disabilità e lavoro (Andel), conferma a ilfattoquotidiano.it tutte le procedure segnalate da Nardi. “È una norma che ho combattuto nel tempo. Più volte ho chiesto al ministero del Lavoro di modificarla, ma non ci sono riuscito, anzi tre anni fa è peggiorata. Per essere computati nella quota di riserva, ossia essere considerati lavoratori disabili per l’azienda, oltre alla richiesta di una percentuale pari e/o superiore al 60% è previsto pure il cambio della mansione, che spesso risulta un peggioramento per il dipendente”.
A cosa va incontro il lavoratore con queste caratteristiche una volta che gli sopraggiunge una invalidità civile inferiore al 60%? Ecco i vari passaggi: si deve dimettere senza avere nessuna garanzia di essere riassunto, non beneficia di alcun sostegno economico da parte dell’Inps, perde il maturato economico e l’inquadramento acquisito, perde le tutele contrattuali maturate prima della riforma dell’art.18, può essere adibito ad altra mansione non richiesta, si troverà quasi sempre in un periodo di disoccupazione più o meno lunga in attesa dell’autorizzazione alla riassunzione.
“Questa norma non va bene – spiega Bottà – crea imbarazzo all’azienda che deve chiedere al lavoratore di dimettersi e al dipendente che suo malgrado deve dimettersi”. La legge stabilisce che un lavoratore nel momento in cui ha una disabilità in costanza di rapporto di lavoro, con una invalidità compresa fra il 46% e il 59%, per essere computato per l’azienda ai fini degli obblighi della legge n.68/99 deve dimettersi, iscriversi al collocamento mirato e l’azienda deve chiedere l’autorizzazione all’assunzione. Solo così il lavoratore entrerà nella così cosiddetta quota di riserva. “Questa”, sottolinea Bottà, “è solo una delle infinite contraddizioni che le persone disabili occupate o disoccupate si trovano a vivere, ma è anche una delle infinite problematicità che il governo, il ministero del Lavoro, l’Anpal, le Regioni, troppo spesso ignorano. Tuttavia saranno sempre questi enti a gestire le risorse del Pnrr e a rinnovare il sistema pubblico di collocamento mirato. Così com’è si tratta di un sistema che non funziona”.
Sul tema del collocamento mirato ilfattoquotidiano.it ha contattato anche Maria De Vita, referente della divisione D&I di Oktopous a Milano, esperta del settore che da oltre 15 anni si occupa di ricerca e selezione del personale per professionisti appartenenti alle categorie protette, alla formazione e informazione in azienda su diversi aspetti, tra cui la promozione di eventi per un cambiamento della cultura aziendale che sia davvero inclusiva e collaborativa. “Dopo tanti anni abbiamo visto smuoversi qualcosa, abbiamo vissuto cambiamenti culturali ma purtroppo questo non basta a ridisegnare la strada professionale di molte persone che oggi vogliono migliorare o ricercare nuove opportunità lavorative”, è il suo commento.