Il dibattito filosofico sulla pandemia sta rappresentando anche un’occasione per una riflessione sullo stato di salute della filosofia stessa, almeno di quella italiana. Essa infatti ha dato prova di sé, non sempre eccelsa, in questi ormai quasi due anni di emergenza pandemica. Filosofi o sedicenti tali (una delle obiezioni più facili è stata “non tutti gli insegnanti di filosofia sono filosofi”) sono intervenuti sui social, in tv, sui giornali: hanno generato discussioni e perfino scatenato tifoserie.
Pensavamo che le risse sugli argomenti dei filosofi fossero confinate alla parodia esilarante del mitico Riccardo Pangallo, con Robert De Niro/Toro Scatenato che dice “mi piace fare il pugile, ma c’è una cosa che non mi piace di questo sport: va a fini’ sempre a cazzotti”, ma che poi si accapiglia con la moglie che lo invita a prenderla con filosofia (lui sostiene che “per Kant la legge morale è immanente nella ragione”, la moglie che l’agnosticismo è trascendentale e non fenomenico), e dopo una rissa col fratello, conclude che “secondo me nella filosofia c’è troppa violenza”. E ridacchiavamo alla notizia della rissa su Kant tra due tizi di Rostov finita a pistolettate.
E invece abbiamo visto i meme con le frasi di Giorgio Agamben e gli scherzi sul fantomatico Nobel “Melon”, e tutto il codazzo di polemiche sui social, con gente che si lanciava, a mo’ di strali, le citazioni da Homo sacer o le frasi di Massimo Cacciari. Infatti i due, già a partire dalle rispettive posizioni e poi quando hanno pubblicato a quattro mani un articolo sul sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, hanno sollevato un vero e proprio polverone. Anche perché si tratta di due tra i più importanti pensatori italiani, con buona pace di quelli – afflitti da ‘metrolatria’ – che storcono il naso sventolando le classifiche di Scopus e gli h-index per dimostrare che no, Agamben e Cacciari non sono citati, dunque non sono importanti (e viene fatto di chiosare: proprio come Gramsci e Croce, che su Scopus praticamente non esistono, eh vabbè, anche queste uscite hanno contribuito a dare della filosofia italiana un’immagine imbarazzante).
Ma – se è lecito – cosa si può dire sul dibattito filosofico italiano sulla pandemia? Partirei da questo assunto: Agamben e Cacciari hanno indovinato l’oggetto e sbagliato le analisi. Indovinato l’oggetto, che è il potere nel suo nesso coi saperi, non una grande novità, ma di questi tempi…; sbagliato l’analisi perché per Agamben il potere è mortifero da Roma fino ad Auschwitz, e questo continuum trans-storico non serve a niente come spiegazione; mentre per Cacciari è valido il contrario: come se l’emergenza fosse appena iniziata, nonostante le numerose prove di un regime emergenziale che dalla protezione civile al terrorismo ci attanaglia da decenni.
E se pure filosofi come Agamben e Cacciari sono scivolati sull’uso improprio di analogie e sulla discussione di questioni di cui i filosofi sanno poco o niente, altri ‘colleghi’ si sono limitati a imbarazzanti prese di posizione da un lato e dall’altro di una ipotetica barricata mediatica: i fideisti che hanno richiamato alla credenza nella scienza come oggetto di venerazione irrazionale, rispolverando quella cripto-teologia che veniva già bersagliata da Otto Neurath quando, mentre ascoltava la discussione sul Tractatus di Wittgenstein in seno al Wiener Kreis, esclamava “Metafisica!” a ogni più sospinto, e che fa a cazzotti con l’epistemologia più avvertita; gli ‘scettici a prescindere’ che si sono fatti irretire da una critica alle istituzioni (la Scienza, o il Potere politico/economico) di sapore complottistico, che si sono serviti cioè di un’ermeneutica del sospetto in versione caricaturale che ignora ogni dimostrazione, ogni evidenza.
Personalmente, in un eventuale gioco della torre, preferirei la capacità di individuare il problema, pur nell’insufficienza dello ‘svolgimento’. È ancora necessario dire, con Adorno, che “Abbiamo a che fare con la neutralizzazione. Resistere all’apparato scientifico è un altro dei compiti che la filosofia deve ancora portare a temine”.
Occorre invece stendere un velo pietoso su quei filosofi che si sono impelagati in discussioni ‘scientifiche’ sull’efficacia dei vaccini: questi non hanno centrato niente, né l’oggetto, né lo svolgimento, né (soprattutto) come si fa teoria e come si maneggia il metodo. In un mondo di ‘filosofinfluencer’, costoro hanno creduto di capire come funziona il mondo dell’informazione, ma non si sono accorti di essere – lì sì – delle pedine di una società dello spettacolo che li usa e li sputa.