Un risarcimento per danno di immagine che sarà destinato a un progetto per l’educazione all’aria aperta. Finisce così una storia di maltrattamenti in un asilo nel Ravennate che aveva portato alla condanna in via definitiva rispettivamente a 3 anni e a un anno e 6 mesi di due maestre mentre una terza aveva patteggiato una pena a un anno e 8 mesi. Il Comune di Conselice ha ottenuto in una causa civile che le tre ex educatrici risarciscano in totale 70mila euro.
“È stato riconosciuto il danno d’immagine per una vicenda che ha screditato la reputazione di un servizio pubblico e di un’intera comunità educante” dice la sindaca Paola Pula commentando la sentenza civile del Tribunale di Ravenna. A pagare l’allora coordinatrice e di due educatrici ausiliarie condannate a rimborsare all’amministrazione locale 30 mila euro per il danno non patrimoniale e altri 40 mila per quello patrimoniale. “Ringrazio la segretaria comunale avvocato Margherita Morelli e l’avvocato Valerio Tallini per l’ottimo lavoro svolto – ha precisato la prima cittadina – Archiviamo definitivamente una vicenda che ha causato anni di sofferenza, prima di tutto ai bimbi coinvolti e alle loro famiglie. Le somme incassate – ha concluso la prima cittadina – saranno destinate a un progetto per l’educazione all’aria aperta attraverso la progettazione ad hoc dei cortili delle scuole, a partire dai nidi e dalle scuole dell’infanzia”.
Secondo le indagini dei carabinieri, i maltrattamenti erano andati avanti dal 2006 al 2010: nel 2018 le condanne. Nel fascicolo penale compariva una quarta educatrice già referente per il Comune di Conselice e cioè non dipendente di una cooperativa di Faenza al contrario delle sue colleghe. Per lei l’accusa era di avere taciuto situazioni che conosceva. In appello la contestazione di maltrattamenti sugli alunni per omissione era stata però derubricata in omessa denuncia: da un anno di carcere la donna era passata a una multa di 300 euro. In seguito al solo ricorso dei genitori di un bambino – e dunque valido per le sole statuizioni civili – la Cassazione aveva deciso che in effetti andava vagliata in apposito giudizio civile la eventuale posizione di garanzia dell’imputata.
L’inchiesta sull’asilo Mazzanti era scattata da una denuncia presentata da un’ex dipendente dell’asilo e da un’ausiliare ancora in servizio. Il 7 dicembre 2010 c’era pure stato un esposto dell’allora sindaco, il defunto Maurizio Filipucci. Le accuse più pesanti era state formulate per l’allora coordinatrice: capelli tirati, schiaffoni, insulti, urla, trascinamenti per un braccio e per i piedi. Tra i capi d’imputazione, figuravano anche bambini costretti a ingoiare il cibo rigurgitato, chiusi in bagno o nel ripostiglio dei detersivi, lasciati nudi sul pavimento o incustoditi nei lettini o ancora con la testa infilata dentro al water.