Il messaggio più importante, quello che in molti attendevano, lo inserisce all’inizio: “Tra pochi giorni si concluderà il mio ruolo di presidente”, dice Sergio Mattarella, aprendo il suo settimo discorso di fine anno. Il presidente della Repubblica, dunque, sgombera subito il campo da ogni dubbio: non è assolutamente disponibile a fare il bis. E non per suo gusto personale ma perché così “dispone la Costituzione“. E quindi, se lo dice la Carta, non c’è spazio per alcun ripensamento: il 3 febbraio del 2022 scadrà il mandato del dodicesimo presidente. Nessun colpo di scena, nessun cambio di linea: Mattarella non accetta il bis. Però un pezzo di Paese comincia a nutrire qualche timore sul suo successore. Sarà per questo motivo che, nel suo ultimo intervento da capo dello Stato, l’inquilino del Quirinale inserisce una sorta di memorandum sui doveri dei presidenti della Repubblica: “Devono spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale“. Mattarella non è solo il garante della Costituzione ma anche un costituzionalista di lunghissima esperienza, da sempre usa la Carta come unico alfabeto: nell’ultimo discorso agli italiani ha voluto ricordare al Paese cosa deve fare un capo dello Stato. Lo fa riflettendo sul suo settennato, che sta finendo, ma implicitamente spiega anche cosa non deve e non può fare un presidente della Repubblica: evidentemente teme che non sia così scontato. In ogni caso è un fatto che gli unici riferimenti politici del suo intervento – se si esclude un breve inciso sul Paese che ha evitato “pericolosi salti nel buio” anche in “alcuni passaggi particolarmente difficili e impegnativi” – siano quelli sul Quirinale: sul suo mandato che sta per finire, su quello che sta per cominciare, sui doveri di chi lo sostituirà. Ma andiamo con ordine.

La location dell’ultimo discorso – Sette anni dopo l’elezione, il dodicesimo presidente della Repubblica si rivolge agli italiani usando un tono molto più informale rispetto al primo discorso. Già nell’incipit spiega di aver sempre “vissuto questo tradizionale appuntamento di fine anno con molto coinvolgimento e anche con un po’ di emozione“: un modo per avvicinarsi ancora di più a chi lo ascolta. Mattarella non è alla scrivania: parla in piedi, all’interno dello studio della Palazzina della Fuga, dando le spalle al giardino del Quirinale. E’ un discorso breve: poco più di 15 minuti per pronunciare circa 1.7o0 parole. Meno di undicimila battute in totale per toccare tutti i temi principali che hanno caratterizzato l’anno appena finito, mantenendo sempre lo sguardo su quello che sta iniziando. E che porterà al Paese il suo successore, visto che Mattarella mette subito in chiaro il passaggio fondamentale: “Oggi questi sentimenti sono accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni,come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di Presidente“.

Il no al bis e il messaggio al successore – Se il mandato del dodicesimo presidente è finito, chi sarà il tredicesimo? Difficile da dire. Ed è in questa situazione d’incertezza che Mattarella ci ha tenuto a ricordare che “la Costituzione affida al Capo dello Stato il compito di rappresentare l’unità nazionale“. L’inquilino del Quirinale ha spiegato che il suo compito “è stato facilitato dalla coscienza del legame, essenziale in democrazia, che esiste tra istituzioni e società; e che la nostra Costituzione disegna in modo così puntuale”. Ma, ha sottolineato, “questo legame va continuamente rinsaldato dall’azione responsabile,dalla lealtà di chi si trova a svolgere pro-tempore un incarico pubblico, a tutti i livelli. Ma non potrebbe resistere senza il sostegno proveniente dai cittadini”. L’inquilino del Colle, quasi da docente di diritto costituzionale, è sceso ancora più nel dettaglio: “Unità istituzionale e unità morale sono le due espressioni di quel che ci tiene insieme. Di ciò su cui si fonda la Repubblica”. Ecco perché, ha aggiunto, “ciascun Presidente della Repubblica, all’atto della sua elezione, avverte due esigenze di fondo: spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno. E poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che – esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato – deve trasmettere integri al suo successore”. Sembra una sorta di lettera inviata al suo successore, anche se il capo dello Stato sembra solo riflettere sul suo mandato. “Non tocca a me – ha aggiunto – dire se e quanto sia riuscito ad adempiere a questo dovere. Quel che desidero dirvi è che mi sono adoperato, in ogni circostanza, per svolgere il mio compito nel rispetto rigoroso del dettato costituzionale. È la Costituzione il fondamento, saldo e vigoroso, della unità nazionale. Lo sono i suoi principi e i suoi valori che vanno vissuti dagli attori politici e sociali e da tutti i cittadini”. Poi si concentra su un termine molto in voga negli ultimi tempi: il patriottismo. Ci arriva spiegando che “anche nei momenti più bui” lui non si è “mai sentito solo” e ha “cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea”. Dice di rivolgersi “ai sindaci e alle loro comunità. Ai presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone”. Questi, per lui, sono “il volto reale di una Repubblica unita e solidale“. Cioè quello che è in realtà è “il patriottismo concretamente espresso nella vita della Repubblica“.

L’appello sui vaccini – Sono gli unici riferimenti di natura politica. Il resto del discorso è dedicato a una sorta di bilancio del suo settennato – segnato dalla pandemia – al futuro e ai giovani: due elementi questi ultimi, che rappresentano il vero fil rouge del suo mandato. “Sono stati sette anni impegnativi, complessi, densi di emozioni: mi tornano in mente i momenti più felici ma anche i giorni drammatici, quelli in cui sembravano prevalere le difficoltà e le sofferenze”, dice il presidente, che sul Covid ci ha tenuto a rilanciare un ringraziamento e un nuovo appello alla vaccinazione. Per questo ha voluto ringraziare chi “fidandosi della scienza e delle istituzioni, ha adottato le precauzioni raccomandate e ha scelto di vaccinarsi: la quasi totalità degli italiani, che voglio, ancora una volta, ringraziare per la maturità e per il senso di responsabilità dimostrati”. Il capo dello Stato ha riconosciuto anche “il senso di frustrazione” di fronte all’aumento dei contagi, ma, ha detto “non dobbiamo scoraggiarci”. E questo perché “i vaccini sono stati, e sono, uno strumento prezioso, non perché garantiscano l’invulnerabilità ma perché rappresentano la difesa che consente di ridurre in misura decisiva danni e rischi, per sé e per gli altri”. Un orizzonte diverso rispetto alla “impotenza e disperazione” dei primi mesi della pandemia. “Cosa avremmo dato, in quei giorni, per avere il vaccino?“, è la domanda retorica che si è posto Mattarella. “La ricerca e la scienza ci hanno consegnato, molto prima di quanto si potesse sperare, questa opportunità. Sprecarla è anche un’offesa a chi non l’ha avuta e a chi non riesce oggi ad averla. I vaccini hanno salvato tante migliaia di vite, hanno ridotto di molto – ripeto – la pericolosità della malattia”. Un passaggio su cui il capo dello Stato ha voluto insistere a lungo: la necessità che “ognuno faccia la propria parte“, anche alla luce delle tante diseguaglianze: “La pandemia ha inferto ferite profonde: sociali, economiche, morali. Ha provocato disagi per i giovani, solitudine per gli anziani, sofferenze per le persone con disabilità. La crisi su scala globale ha causato povertà, esclusioni e perdite di lavoro. Sovente chi già era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri contraccolpi”. In fondo ecco il messaggio di speranza: “Eppure ci siamo rialzati. Grazie al comportamento responsabile degli italiani – anche se tra perduranti difficoltà che richiedono di mantenere adeguati livelli di sicurezza – ci siamo avviati sulla strada della ripartenza; con politiche di sostegno a chi era stato colpito dalla frenata dell’economia e della società e grazie al quadro di fiducia suscitato dai nuovi strumenti europei”.

“Transizioni ecologica e digitale necessità ineludibili” – Un altro passaggio saliente è dedicato “alle antiche diseguaglianze“, visto che “la stagione della pandemia ne ha aggiunte di nuove”. Il capo dello Stato ha sottolineato come “le dinamiche spontanee dei mercati talvolta producono squilibri o addirittura ingiustizie che vanno corrette anche al fine di un maggiore e migliore sviluppo economico. Una ancora troppo diffusa precarietà sta scoraggiando i giovani nel costruire famiglia e futuro. La forte diminuzione delle nascite rappresenta oggi uno degli aspetti più preoccupanti della nostra società”. Per questo motivo il presidente ha insistito sulle “transizioni ecologica e digitale” che “sono necessità ineludibili, e possono diventare anche un’occasione per migliorare il nostro modello sociale”. E qui il capo dello Stato ha citato in una volta sola due temi ricorrenti del suo settennato: il futuro e i giovani. “​Pensando al futuro della nostra società, mi torna alla mente lo sguardo di tanti giovani che ho incontrato in questi anni. Giovani che si impegnano nel volontariato, giovani che si distinguono negli studi, giovani che amano il proprio lavoro, giovani che – come è necessario – si impegnano nella vita delle istituzioni, giovani che vogliono apprendere e conoscere, giovani che emergono nello sport, giovani che hanno patito a causa di condizioni difficili e che risalgono la china imboccando una strada nuova. I giovani sono portatori della loro originalità, della loro libertà. Sono diversi da chi li ha preceduti. E chiedono che il testimone non venga negato alle loro mani. Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società”. E qui Mattarella ha ricordato la lettera inviata ai suoi studenti dal professor Pietro Carmina, vittima dell’esplosione di Ravanusa, in provincia di Agrigento. Docente di filosofia e storia, quando due anni fa era andato in pensione aveva scritto una lettera ai suoi studenti: “Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare”. Parole che Mattarella ha pronunciato in diretta televisiva: “​Faccio mie – con rispetto – queste parole di esortazione così efficaci, che manifestano anche la dedizione dei nostri docenti al loro compito educativo“. Quindi ha chiuso: “Se guardo al cammino che abbiamo fatto insieme in questi sette anni nutro fiducia”. La fatica per il difficile cammino percorso, la fiducia per quello che viene dopo, gli occhi comunque sempre fissi sul futuro: in tre concetti c’è tutto il settennato del dodicesimo presidente della Repubblica.

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