Il 2021 non è stato di parola: non s’è portato via la pandemia e nessuna delle altre grane che affliggono il mondo, conflitti, carestie, povertà, migrazioni, egoismi nazionali e individuali. Tranquilli!, ci pensa il 2022, che, come tutti gli anni, parte con i propositi migliori.

Lato pandemia, smetteremo di contare le ondate e impareremo a convivere con il virus; e scopriremo che alcune delle minacce che gravano sulla pace, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’annessione di Taiwan da parte della Cina sono solo spauracchi agitati da Mosca e Pechino e ingigantiti dall’Occidente, per alimentare situazioni di tensione internazionale che sono un comodo paravento dietro cui nascondere le beghe interne con cui tutti i leader, democratici o autoritari che siano, devono confrontarsi.

Solo su un fronte gli italiani sarebbero degli illusi a sperare che il 2022 possa fare meglio del 2021: lo sport. Perché di vincere tanto come l’estate scorsa, tra Europei di calcio e Giochi di Tokyo, oltre agli Europei di pallavolo “bisex” e a una miriade di altri successi, è davvero chimera. A dire il vero, nello sci alpino siamo ben partiti, in vista dei Giochi di Pechino, ma nel calcio dobbiamo penare fino alla primavera per sapere se andremo ai Mondiali in Qatar o se, per la terza volta in assoluto, e la seconda consecutiva, saremo relegati – da campioni d’Europa – sulla panchina degli spettatori.

Che poi anche i massimi appuntamenti sportivi 2022, insieme ai Mondiali di Atletica di Eugene nell’Oregon dal 15 al 24 luglio, sono già inquinati dalla geo-politica: una parte dell’Occidente boicotta diplomaticamente i Giochi d’Inverno di Pechino dal 4 al 20 febbraio, in segno di protesta per l’indifferenza ai diritti dell’uomo da parte della Cina; e buona parte dell’umanità raziocinante è a disagio con i Mondiali nel Qatar dal 21 novembre al 18 dicembre. L’emirato che gioca a fare l’ago della bilancia tra sunniti e sciiti è, come tutte le monarchie del Golfo, un eccellente pagatore, ma non è certo in vetta alle classifiche per il rispetto delle donne e per la sicurezza dei lavoratori – vedasi la strage nei cantieri per l’allestimento degli stadi. È strano, però, che questi nodi vengano al pettine nell’imminenza delle gare e non quando i massimi responsabili dello sport mondiale, che siano il Cio o la Fifa, fanno scelte scriteriate, dettate più dall’interesse – a volte anche personale – che dal rispetto dell’etica sportiva.

Ma usciamo dalla parentesi ludica. Due appuntamenti elettorali sono contornati in rosso sull’agenda politica internazionale 2022: le presidenziali francesi il 10 e il 24 aprile, e le elezioni di midterm negli Stati Uniti l’8 novembre. Ma l’agenda elettorale è fitta di altri appuntamenti. Nell’Ue, si vota in Austria – le presidenziali, cui potrebbero però aggiungersi le politiche, vista la delicata situazione venutasi a creare con l’uscita di scena di Sebastian Kurz -, Slovenia, Ungheria, Svezia e Portogallo – e non si può escludere che si voti pure in Italia.

Poi ci sono le presidenziali in Brasile – il 2 ottobre – e in Colombia – il 29 maggio –, in India – sarà la consueta maratona – e nelle Filippine – il 9 maggio. Se i pronostici saranno rispettati, salteranno due presidenti di stile “trumpiano”, l’omofobo e negazionista Jair Messias Bolsonaro e l’autoritario e violento Rodrigo Duterte. Appuntamenti con le urne pure in Australia, Corea del Sud, Libano, Tunisia, Kenya e altrove ancora. Senza dimenticare le fantomatiche elezioni in Libia, che paiono sempre imminenti, ma che svaniscono sempre in extremis – com’è successo la settimana scorsa.

Altre date sull’agenda internazionale del nuovo anno sono il Vertice del G7 dal 26 al 28 giugno nelle Alpi bavaresi, allo Schloss Elmau – il cancelliere tedesco Olaf Scholz farà dunque l’esordio fra i grandi da presidente – e il Vertice del G20 in autunno a Bali sotto la presidenza di turno indonesiana. Rituali i vertici europei, che si succederanno a Bruxelles con ritmo più o meno trimestrale – i primi il 24 e 25 marzo e il 23 e 24 giugno – e gli appuntamenti di primavera e d’autunno di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale.

Le presidenziali in Francia e il midterm negli Stati Uniti hanno valenze speciali. In Francia, Emmanuel Macron, presidente in esercizio e candidato alla riconferma – sulla carta è il favorito – dovrà bilanciare campagna elettorale e impegno europeo, perché la Francia, dal primo gennaio e fino al 30 giugno, esercita la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue: un semestre in cui cade anche la fine della Conferenza sul futuro dell’Europa, se i termini non saranno prorogati vista l’esiguità di quanto finora prodotto.

La congiuntura fra i primi passi del nuovo governo tedesco, dopo 16 anni a guida Angela Merkel, l’appuntamento elettorale francese e l’incertezza politica italiana – i giochi per la presidenza della Repubblica possono modificare gli assetti di governo e condizionare la durata della legislatura – gioca a sfavore dell’Unione europea, impegnata a superare definitivamente la pandemia, “governare” la ripresa dell’economia, fare rispettare i principi dello stato di diritto ai propri membri, offrire una risposta comune su problemi come flussi migratori e difesa europea. Difficile riuscirci senza una guida forte, sicura e stabile, che non può essere offerta in questa fase dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, politicamente indebolita perché il suo partito, che è la Cdu, si trova oggi all’opposizione in Germania.

Negli Stati Uniti, dove la popolarità del presidente Joe Biden è molto bassa, non causa pandemia o rotta afghana ma per l’inflazione che torna a erodere i redditi dei lavoratori nonostante la crescita del Pil, il voto di midterm rischia di privare il partito democratico della maggioranza sia al Senato, dove la situazione è di equilibrio – 50 senatori democratici e 50 repubblicani – sia alla Camera, dove invece i democratici hanno una manciata di seggi in più dei repubblicani.

Già indebolito dai suoi errori e dalla litigiosità interna alla galassia democratica, dove la sinistra è insoddisfatta delle misure sociali fin qui adottate, Biden rischia dunque di vivere la seconda metà del suo mandato da “anatra zoppa”: una prospettiva che ridarebbe forza alle ambizioni presidenziali nel 2024 di Donald Trump, che continua a esercitare un forte controllo sul partito repubblicano; e che non gioverebbe alla sicurezza internazionale, perché solo leader sicuri di sé e del proprio ruolo possono prendere decisioni lungimiranti, mentre leader in bilico guardano al breve termine.

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