Il gruppo Gedi (di cui fanno parte tra l’altro i quotidiani La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX) avrebbe ricevuto un ordine della magistratura per il sequestro di 30 milioni di euro. Ne dà notizia il quotidiano la Verità. Il provvedimento fa parte di un’inchiesta di cui Il Fatto Quotidiano aveva dato conto nel 2018, quando partirono le prime indagini della Guardia di Finanza. L’impulso all’inchiesta fu dato proprio da alcune rivelazioni del Fatto Quotidiano relative ai carteggi tra un dipendente del gruppo editoriale e l’Inps. Sul registro degli indagati finirono l’allora vicepresidente del gruppo Monica Mondardini, il responsabile delle risorse umane Roberto Moro e Corrado Corradi il capo della divisione Stampa nazionale. All’epoca il gruppo era ancora proprietà della Cir dell’ingegner Carlo De Benedetti (oggi editore del quotidiano Domani). Gedi è stato poi venduto alla famiglia Agnelli-Elkann che oggi ne controlla il 100% e nel 2020 lo ha tolto dalla borsa.
Il sequestro riguarda una presunta truffa ai danni dell’Inps nelle operazioni di pre-pensionamento portate avanti dal gruppo tra il 2011 e il 2015 con un danno all’Istituto di previdenza che potrebbe raggiungere i 38 milioni di euro. In sostanza, attraverso demansionamenti e trasferimenti mirati, le agevolazioni all’uscita anticipata dal lavoro sarebbero state ottenute anche per dipendenti che non avrebbero avuto diritto in base alla legge. Ad esempio alcuni dirigenti. In tutto sono circa 70 gli ex dipendenti del gruppo su cui sta indagando la magistratura. Il piano di prepensionamenti attuati dal gruppo tra il 2011 e il 2015 ha coinvolto in tutto 69 giornalisti e 187 poligrafici. Nel corso degli anni l’Inps avrebbe ricevuto più di una segnalazione sulle presunte irregolarità provenienti dall’interno dello stesso gruppo. Tra i destinatari anche l’ex presidente Tito Boeri che era anche editorialista di Repubblica e che, secondo quanto scrive la Verità, non avrebbe mostrato una particolare solerzia nella gestione della pratica.
A difendere Gedi di fronte ai giudici è l’avvocata ed ex ministra Paola Severino che avrebbe dato disposizioni per la creazione di un conto ad hoc in cui depositare i soldi oggetto del sequestro. Tra il 2010 e il 2016 il gruppo era riuscito a collezionare 160 milioni di utili. Dal 2017 al 2020, complice la grave crisi di diffusione de La Repubblica, ma anche de La Stampa e Il Secolo, la società che era dei De Benedetti ha cumulato 450 milioni di rosso. Solo nel 2020, l’anno del passaggio da Cir alla famiglia Agnelli, le perdite sono state di ben 166 milioni. A pesare non solo il calo potente dei ricavi che nel decennio hanno perso 385 milioni, ma anche le pulizie sul valore delle testate.
Riceviamo dall’ex presidente Inps Tito Boeri e pubblichiamo
Il 31 dicembre il quotidiano “La Verità” ha riportato la notizia del sequestro di oltre 30 milioni al gruppo GEDI a seguito di un’operazione della Procura di Roma sull’utilizzo improprio di ammortizzatori sociali da parte del gruppo. Non essendo un lettore di quel giornale, ho ricevuto lo stralcio di articolo dal dirigente Inps cui a suo tempo avevo chiesto di seguire la vicenda. “Le voglio dare una buona notizia”, mi scriveva, “grazie al suo intervento siamo riusciti a smascherare una truffa ai danni dell’Inps; c”è voluto del tempo, ma ci siamo riusciti”. Leggo l’articolo, ma mi trovo di fronte ad una ricostruzione distorta e maliziosa del mio operato, volta a insinuare che io abbia voluto insabbiare la vicenda. Come posso documentare, dopo avere ricevuto un messaggio criptico da una persona a me sconosciuta (non era un messaggio anonimo) riguardo a potenziali frodi ai danni dell’istituto, fui io stesso a sollecitare il mittente perchè mi offrisse i dettagli della vicenda. E il giorno stesso in cui ricevetti una mail più circostanziata incaricai il direttore centrale della DC ammortizzatori sociali, struttura competente in materia (e non certo un “dirigente di seconda fascia” come riportato dal vostro giornalista) di approfondire la vicenda. Posso anche documentare che anche successivamente a questa mia prima segnalazione sollecitai la direzione ad andare a fondo, lasciando poi al direttore generale, una volta appurato che ci potevano essere gli estremi di una frode, il compito di seguirne l’evoluzione. Se avessi voluto davvero insabbiare la vicenda, lo avrei potuto fare in un’infinita di modi, a partire dall’ignorare il messaggio di una persona a me sconosciuta tra le centinaia di mail che ricevevo ogni giorno. Mi colpisce che Il Fatto di oggi dia spazio alla tesi de “La Verità” sostenendo che non avrei mostrato “particolare solerzia” nel seguire la vicenda senza neanche preoccuparsi di interpellare la direzione competente dell’Inps e il sottoscritto. La prego dunque di pubblicare integralmente questa mia lettera.