È il metodo più semplice e meno invasivo per individuare l'infezione da Covid-19, ma per il virologo Pregliasco è quello a maggior rischio di falsi negativi. La versione molecolare ha invece una precisione paragonabile a quella del "classico" nasale, e il ministero della Salute lo raccomanda solo per determinate categorie
Sono più comodi e meno invasivi dei tamponi nasali, ma i test salivari rapidi sono considerati i meno attendibili fra i metodi oggi disponibili per individuare l’infezione da Covid-19. Lo ha ribadito il virologo Fabrizio Pregliasco a SkyTg24 poco prima di Natale, quando moltissimi italiani cercavano di assicurarsi festeggiamenti in famiglia il più possibile sicuri. “Il tampone fai da te salivare è quello con minore sicurezza di definizione di risultato” ha affermato. “Livello intermedio hanno invece quelli fai da te con il tampone nasale, mentre hanno una maggiore rappresentatività e correttezza di esecuzione e registrazione quelli fatti in farmacia“. Tra i problemi del salivare rapido, c’è “l’attenzione che richiede nella raccolta del campione, bisogna non aver mangiato o bevuto nell’immediatezza perché si perde una quota di carica virale”. Detto questo, ha concluso Pregliasco, anche loro “possono dare un contributo: funzionano un po’ come una rete a maglie larghe, quindi con qualche problema di falsi negativi, ma aiuterebbero a raccogliere quei soggetti positivi e toglierli per quanto possibile”.
Anche il generale Francesco Figliuolo (che però è un esperto di logistica e non di medicina) li ha citati con riserva nell’intervento a Torino del 27 dicembre, che ha scatenato polemiche per il paragone fra le code per il tampone e quelle “per il Black Friday“: “Si guarda anche ai salivari veloci, però c’è la paura dei falsi positivi”.
Esistono poi i tamponi salivari molecolari, dotati di un grado di affidabilità paragonabile a quello dei classici tamponi molecolari nasali, che però come questi ultimi devono essere analizzati in laboratorio per fornire il loro responso. In Italia sono stati sviluppati da un team dell’Università Statale di Milano guidato da Valentina Massa, che per questo ha ottenuto l’Ambrogino d’oro, massima onorificenza cittadina. A differenza dei rapidi, sono validi per l’ottenimento del Green Pass, come chiarito a maggio da una circolare del ministero della Salute. Una successiva circolare del 24 settembre li accreditava a un livello di precisione compreso fra il 77 e il 93%, anche se continuava a dare priorità ai tamponi naso-faringei, che fra l’altro sono un po’ più semplici da processare in laboratorio.
Allora a che servono i molecolari salivari? Soprattutto a testare chi potrebbe soffrire più di altri il bastoncino infilato nel profondo delle cavità nasali, o chi non è in condizione di collaborare all’operazione, o ancora chi deve sottoporsi a tamponi frequenti come gli operatori sanitari. La circolare del ministero cita “individui fragili con scarsa capacità di collaborazione (ad esempio anziani in Rsa , disabili, persone con disturbi dello spettro autistico). E ancora, lo “screening in bambini coinvolti nel Piano di monitoraggio della circolazione di Sars-CoV-2 in ambito scolastico”, cioè nelle cosiddette “scuole sentinella”, oppure “per lo screening dei contatti in bambini, anche se la scuola non fa parte del Piano di monitoraggio”.
Difficile, secondo gli esperti, dire oggi quale ulteriore contributo potranno dare i salivari nella lotta al Covid. Sono stati sviluppati in un momento della pandemia molto diverso da quello attuale, quando si dava priorità – almeno teorica – alla tempestiva individuazione dei casi e dei contatti, e si pensava che la scuola fosse una fondamentale fonte di contagio. Oggi le vaccinazioni hanno cambiato completamente il quadro e il comportamento della variante Omicron è ancora da analizzare nei dettagli. E mentre si attende il picco di contagi a gennaio ci sono esperti, come il virologo Guido Silvestri, che parlano di un’infezione che si sta “raffreddorizzando“, mentre il governo ha deciso di azzerare la quarantena per vaccinati con booster o con due dosi da meno di quattro mesi, se asintomatici. Nel futuro del Covid il tampone potrebbe essere un po’ meno centrale.