È sempre molto buffo, e per certi versi imbarazzante, stare lì a contare gli anni dalla nascita di qualcuno quando questi superano anche le più rosee aspettative umane. Non ci sono prove che qualcuno sia mai arrivato a 130 anni di vita, al massimo c’è Jeanne Calment che pare sia arrivata a 122 (e anche lì c’è chi ha sollevato dei dubbi), ma il problema rispetto a Jeanne Calment è che lei non ha mai scritto Il Signore degli Anelli. J.R.R. Tolkien, che quando è morto ne aveva solo 81, invece sì, ed è per questo che oggi celebriamo la sua trentesima candelina dopo la centesima, con buona pace di Jeanne Calment.
Il motivo per cui ci permettiamo oggi di perpetrare questo poco cavalleresco sgarbo tra mummie è dovuto al modo in cui Tolkien ha di fatto cambiato per sempre il genere fantasy, che esisteva prima di lui (chiedere a Lord Dunsany, peraltro adorato da H.P. Lovecraft), ma che dopo di lui non è più stato lo stesso (chiedere a George R.R. Martin, che da Tolkien si è lasciato ispirare ben oltre le due ‘R’ dopo il nome).
Prima degli anni ‘50, quando Il Signore degli Anelli fu pubblicato per la prima volta, il genere fantasy si era mosso sempre su un doppio binario: da un lato sospinto dall’immaginario mitologico celtico animato da draghi, elfi e guerrieri di ogni sorta, immortalato in forma scritta dal poema di Beowulf, dall’altro sostenuto dal legittimo desiderio di escapismo nel cui ambito si è sempre mossa la letteratura fantastica. Il merito di Tolkien è stato proprio quello di codificare tutto ciò che aveva reso quel genere florido (a partire dal concetto di world building, ossia di creazione di un mondo la cui esistenza è centrale e autonoma rispetto al numero di personaggi che lo popolano) in un sistema narrativo che superasse non solo la dinamica escapista fine a se stessa, ma che includesse anche una sorta di commentario sull’animo umano e sul suo rapporto con i concetti di ‘male’ e ‘bene’.
Nel farlo, l’autore si lasciò guidare dalla propria visione pessimistica della Storia come una sorta di processo ciclico ma tendenzialmente peggiorativo, in cui ogni guerra è sempre più sanguinosa e ogni civiltà sempre meno maestosa della precedente, e soprattutto in cui il conflitto più complesso è quello interiore. Per Tolkien il Male è un concetto che è sì soggetto a personificazione, ma che agisce in egual misura sui personaggi a prescindere dal loro codice morale, e che è più incline a consumare se stesso di quanto lo sia a essere sconfitto dal “Bene”. Ne è prova il fatto che, al netto del copioso spargimento di sangue che va in scena sui campi di battaglia, forse il momento più risolutivo della storia è quello in cui Frodo Baggins cede alle ombre dell’anello sul Monte Fato, e rifiuta di distruggerlo.
Solo l’intervento di Gollum lo riporterà traumaticamente sulla propria, “retta”, via. Ma anche Frodo stesso, come il genere fantasy, non sarà mai più lo stesso. La guerra descritta nel Signore degli Anelli, nonostante sia fittizia, non è diversa dalla guerra, reale, vissuta in prima persona dallo stesso Tolkien (il quale prese parte alla battaglia delle Somme). La sua fine non coincide mai con una vera pace, men che meno con una pace interiore.
Ma non è tutto. Parallelamente al discorso sulla Storia, ne esiste un altro in cui Tolkien ha cambiato per sempre le regole del gioco: quello della lingua. Da appassionato di linguistica, l’autore ha con perizia costruito interi sistemi di linguaggio coerenti con le dinamiche culturali interne al mondo, complesso e sfaccettato, che ha creato su pagina. Attraverso la sua devozione per il lògos, ha restituito a un universo immaginario la disperata complessità di quello terreno.
Questa fortunata armonia di passioni e attitudini gli ha permesso di trascendere la caratterizzazione squisitamente allegorica in cui il fantasy aveva prosperato (si pensi alla coeva serie su Narnia di C.S. Lewis), fino a dare alla sua Terra di Mezzo la dignità di un mondo “secondario”, più che fittizio, in cui nonostante le regole del reale si distacchino completamente da quelle che definiscono il nostro, i concetti etici e morali che lo muovono risuonano con la stessa potenza con cui fanno tremare le nostre spoglie mortali, nel mondo reale.