Sono positivo. Non è una notizia. Se non sei Lorenzo Cherubini, i Ferragnez o il presidente del Consiglio non è più una notizia esserlo, chiaramente.

La “notizia” è che ho capito o almeno credo di aver compreso perché, almeno nella scuola, le cose non funzionano e continueremo a contagiarci. Ecco la cronaca.

Martedì 21, terminate le mie ore di lezione, decido come ogni anno di “ritirarmi” per qualche giorno prima di Natale. Parto per il monastero di clausura dell’isola di San Giulio: 68 sorelle piuttosto anziane e un prete 88enne. Nel tardo pomeriggio vengo a sapere che nella mia classe c’è un caso di positività ma non ricevo alcun avviso di quarantena dal momento che l’ultimo protocollo del 28 ottobre scorso prevede che “come criterio orientativo, non esaustivo e non vincolante di stratificazione del rischio, si suggerisce di considerare esposto l’insegnante/operatore della scuola primaria e secondaria che, nelle 48 ore precedenti, abbia svolto in presenza 4 ore o più, anche cumulative, all’interno della classe in cui è stato individuato il caso Covid-19, tenendo conto del rispetto delle misure di prevenzione e sicurezza che l’insegnante deve rispettare”. Avendo svolto solo due ore va da sé che non sono considerato “esposto”.

Mercoledì 22 vengo a sapere di altri casi nella scuola; così il 23, mentre sono in monastero dove tengo rigorosamente la mascherina (non a pranzo e cena) e il distanziamento.

La vigilia di Natale, tornando dal monastero diretto verso Tirano (ricordo che non ho alcun provvedimento di quarantena o isolamento), pur essendo asintomatico, mi fermo alla prima farmacia e compro un tampone nasale da autosomministrare. Lo faccio: sono positivo. La sera del 24 cerco disperatamente un altro tampone nasale. Trovarlo non è facile perché le farmacie li hanno esauriti oppure sono chiuse. Lo individuo, riprovo: stesso risultato. A quel punto mi auto-isolo.

Il 25 avviso le monache ma cerco di trovare un molecolare per avere una conferma, in modo da evitare di eventualmente sterminare uno dei più grandi monasteri di clausura d’Europa. Chiamo l’Ats della Montagna: mi risponde un’operatrice da un ospedale che mi dice che devo rivolgermi al medico di famiglia. E’ Natale: impossibile trovarlo, chiaramente. Il numero verde 800318318, per informazioni sui servizi di Regione Lombardia non è attivo nei giorni festivi. Chiamo il numero 1500 attivato dal ministero della Sanità ma mi chiedono di attendere in attesa della priorità acquisita: un’attesa che non finisce mai.

A rispondermi è l’800061160, l’unità di protezione civile della Regione Lombardia, che mi rimanda al numero 800894545 dove mi dicono che devo attendere il rientro del medico di famiglia o chiamare il medico di guardia. Provo a interpellare quest’ultimo ma è attivo solo la sera.

Il 26 riprovo a cercare un molecolare: nulla da fare. Così il 27: finalmente dopo una serie di telefonate lo trovo per il 28. Faccio il test all’ospedale di Tirano: in quindici minuti è tutto fatto ma non mi metto nei panni dell’operatrice che deve gestire la fila dei “clienti” della giornata. E’ lì fuori al freddo, senza una tettoia, senza nemmeno un tavolino dove appoggiare le carte. Penso all’immenso sforzo di queste persone delle Asl (sotto stress, con personale insufficiente): chissà – mi dico – se stasera qualcuno di loro scriverà una mail al proprio capo per protestare, per descrivere come ha dovuto lavorare.

Il 29 mi arriva il risultato: positivo. In giornata prendo contatti con la mia Ats di riferimento (Valpadana) dove una giovane dottoressa mi fissa il tampone di eventuale fine quarantena. Essendo molto preparata mi permetto di farle qualche domanda: perché non sono stato messo in quarantena dal momento che sono stati registrati dei casi di positività nella mia classe? Non era forse il caso di fare un tampone a tutti i docenti che sono passati in quell’aula?

Scopro che sarei potuto essere un soggetto da mettere in “sorveglianza attiva” ma la valutazione andava fatta dal dirigente con il medico competente. Scopro che “indipendentemente dalla presenza o meno di sintomatologia, il soggetto è tenuto ad avvisare il medico curante, il datore di lavoro e il medico competente”. I primi due li ho avvisati ma il terzo… la dottoressa mi chiede: “Posso farle una domanda: lei sa chi è il suo medico competente?”. Cado dalle nuvole. Un attimo dopo lo chiedo alle mie colleghe: nessuno lo sa. Eppure, in ogni scuola, c’è o dovrebbe esserci e da quando è scoppiata la pandemia ha pure il compito di valutare con il preside se segnalare o meno un soggetto. Almeno così pensa l’Ats. Almeno così è sulla carta.

Ma qui nasce un altro problema. Qualora il medico competente (che sicuramente la mia scuola ha ma che pochi conoscono) mi avesse chiamato, avrebbe dovuto fare una valutazione chiedendomi il rispetto o meno delle regole imposte in aula e date dal mio datore di lavoro sulla base dei protocolli nazionali. Perciò mi avrebbe chiesto: lei ha portato la mascherina? Lei ha igienizzato le mani? Lei ha mantenuto due metri di distanza dai bambini? Se sulle prime due non avrei avuto problemi, sulla terza avrei dovuto scegliere se dire o meno una bugia. Sia chiaro: nessun maestro di scuola primaria, se è sincero, può dire di tenere le distanze di due metri dai bambini. Come puoi farlo quando Lucia piange e finché non ti sei accovacciato accanto a lei non riesci a farla parlare? Come puoi farlo quando Luca soffre di epistassi? Come puoi stare lontano dal bambino che vomita? Come fai il maestro senza passare tra i banchi? Penso soprattutto ai colleghi che hanno la prima o seconda classe.

Bene. Logica è che tutti violiamo la regola (impossibile da rispettare) imposta dai nostri dirigenti. Logica è che non rispettando quella norma sei a rischio e il medico competente, qualora si fosse fatto vivo, avrebbe segnalato anche me all’Ats. Logica è che sarei stato messo in quarantena e non sarei andato in giro a infettare altre persone.

Invece, la realtà è un’altra. Io non ho mantenuto le distanze (seppur indossavo la mascherina) perciò al di là che sia rimasto due o quattro ore (la logica di questa regola mi sfugge) potrei aver preso il virus in aula. Il medico competente non mi ha chiamato. L’Ats non ha avuto alcuna segnalazione. Io se non fossi andato al monastero, essendo asintomatico, non avrei avuto alcuna precauzione nel farmi un autosomministrato. Risultato? Avrei potuto contagiare decine di persone.

Ecco come si trasmette il virus a partire da una classe. Ecco un sistema di sorveglianze e regole tutto basato sulla finzione. E’ l’Italia, signore e signori.

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