E niente, non ce l’abbiamo fatta. Neanche stavolta si riesce a mantenere una continuità nel finanziamento del supporto psicologico, come sarebbe adeguato in generale e soprattutto in questo momento.
La psicologia è stata in buona parte stralciata dal bilancio, come se fosse un aspetto secondario, come se la sofferenza psicologica generata dal Covid non fosse una priorità. Non sembra sufficiente l’evidenza della sofferenza per attivare una risorsa.
Sono decisioni che esprimono la leggerezza e la superficialità con cui vengono prese, con cui si spostano le voci di spesa. Sono decisioni basate sull’idea che basti tagliare i costi per far quadrare i conti, focalizzate soprattutto sul controllo delle uscite. Fa parte di quel modo di muoversi secondo politiche restrittive che hanno dimostrato ampiamente nel tempo i loro limiti. Noi lo abbiamo sempre saputo e lo diciamo continuamente: la restrizione in sé, senza un progetto costruttivo e condiviso all’orizzonte e prolungato nel tempo, porta solo frustrazione e insoddisfazioni, con le conseguenze incontrollabili che già conosciamo: restrizioni alimentari verso abbuffate, restrizioni economiche verso spese pazze, limitazioni del movimento verso azioni esplosive e così via.
Non possiamo più accontentarci della spiegazione della mancanza di risorse economiche. Non possiamo più accontentarci di sentirci dire che è un costo che non possiamo permetterci se, come è stato ampiamente dimostrato, investire sulla psicologia riduce i costi delle spese sanitarie.
Ma magari è proprio qui il problema. La psicologia nella sua semplicità potrebbe favorire soluzioni a problemi complessi e magari rendere meno fondamentali altre soluzioni.
E pensare che le proposte di finanziamento della psicologia non hanno colore politico. Tutti i partiti hanno proposto sia adesso che nel corso del tempo, in un momento o nell’altro, il finanziamento continuativo della psicologia. Finanziamento a cui si potrebbe accedere per scaglioni, in base al reddito, in base all’Isee, in base a cento criteri. Ma che si deve fare per essere al passo con gli altri paesi europei? Davvero il problema sono quei “quattro soldi” che lo stato spenderebbe, o meglio investirebbe per prendersi cura della salute dei cittadini in senso ampio? Per rendere la psicologia una risorsa accessibile a tutti e non solo a chi può spendere?
Invece di continuare a indignarci per quello che non ci viene riconosciuto, come psicologi dovremmo cominciare a utilizzare gli strumenti che abbiamo per fare un’analisi più approfondita dei motivi che frenano il sostegno pubblico alla psicologia, al di là delle spiegazioni che vengono date, andare oltre la spiegazione che dice che non ci sono risorse. Non ci sono mai? Perché per la psicologia sono sempre sottostimate e discontinue?
Non limitiamoci a subire ma facciamo l’analisi delle motivazioni psicologiche che di volta in volta giustificano gli stralci, e scopriamo i motivi più veri, altrimenti non aiutiamo il sistema a rigenerarsi. Non diciamo sempre che il lavoro migliore lo psicologo lo fa quando riesce a far vedere le cose da un altro punto di vista? Cerchiamo di dare un significato a questo continuo scivolare della spesa psicologica nella lista delle priorità.
La psicologia con la costruzione del benessere è una forma di prevenzione. Ma questo significa spostare risorse, non tutti sono d’accordo e non sono pronti a muoversi in questa direzione. È come dire che è preferibile chiamare il carro attrezzi quando si ferma la macchina piuttosto che fare rifornimento e manutenzione regolarmente.
La psicologia in generale viene spesso percepita come una minaccia. Fa paura perché costringe a mettersi in discussione, a non dare mai per scontate certe relazioni di causa-effetto e non siamo mai troppo sicuri di come siamo, di quello che potremmo trovare nell’introspezione. Quindi? La paura del cambiamento? La paura che investire nella psicologia possa togliere qualcosa ad altri? La paura delle “sorprese”? Altre paure?