Matteo Salvini vuole vestirsi da croupier già da un mesetto: ripete da settimane che vuole mettere tutti i leader di partito intorno al tavolo per parlare di Quirinale, vuole “fare presto” perché le emergenze sono altre (dando per implicito che eleggere il nuovo capo dello Stato non lo è). Ad ogni modo se il suo doveva essere l’inizio della discussione per il momento sta andando malino: il Partito democratico fa sapere che finché su quel tavolo c’è il nome di Silvio Berlusconi, non c’è trattativa che tenga. Perfino Irene Tinagli, eurodeputata e vicesegretario del Pd, che fa parte dell’area più moderata del partito, dice che l’ex presidente del Consiglio è una figura “non adeguata”. E il leader Enrico Letta chiarirà la linea nella direzione nazionale del 13 gennaio: l’obiettivo è un’elezione ad ampia maggioranza che permetta di mantenere l’unità della maggioranza e quindi evitare le elezioni anticipate, vero pallino dell’alleato M5s. Ma il discorso del 13 gennaio essere anche l’occasione per Letta di esplicitare una apertura ufficiale all’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi, carta possibile da giocare solo con un patto di ferro sulla tenuta della legislatura. I 5 Stelle in questo quadro sembrano su frequenze diverse da quelle del centrodestra e del resto del centrosinistra. Se, infatti, nei giorni scorsi il leader Giuseppe Conte (un po’ per far fuori dall’agenda il nome di Berlusconi) aveva puntato una prima fiche su una donna – non esplicitando tuttavia con quale identikit, neanche di massima – oggi l’assemblea dei senatori ha votato quasi all’unanimità che è necessario fare pressing sul presidente della Repubblica Sergio Mattarella per farlo restare al Quirinale. Evenienza che il capo dello Stato ha già escluso innumerevoli volte, l’ultima durante il discorso di fine anno nel quale ha pure sottolineato che “così prevede la Costituzione“. Questo non significa che ci sia un veto su Draghi o qualsiasi altro candidato di “profilo alto”, come spesso ripetono nel Movimento.

Insomma se quello che si vede nelle uscite pubbliche è ciò che succede anche nei corridoi del Parlamento le forze politiche, a tre settimane dall’inizio delle votazioni a Montecitorio, sono distanti parecchi anni-luce tra loro. Salvini continua a gestire due forni: con Berlusconi in campo (e pare incredibile il contrario, al momento, conoscendo le ambizioni dell’uomo), la Lega è pronta a sostenerlo, ma se emergerà una candidatura di un accordo su un nome sostenuto da numeri ampi, che superi i confini del centrodestra, il Carroccio è il primo che vuole chiudere in fretta. Alla prima risposta del Pd, la Lega risponde un po’ stizzita, come se fosse sorpresa: “Letta mette veti e perde tempo”.

Per ora i partiti mantengono le carte coperte, attenti anche agli eventuali segnali che potrebbero arrivare da Palazzo Chigi. Draghi durante le feste ha sentito tutti i leader per gli auguri, dal canto suo lavora sui tanti dossier, dall’estensione del Super green pass alle bollette, e non dovrebbe andare oltre quanto già detto nella conferenza stampa di fine anno.

La metà della prossima settimana sarà comunque cruciale: una volta capite le intenzioni dei democratici, Berlusconi, Meloni e Salvini dovrebbero tornare a riunirsi per mettere a punto la loro strategia. L’ex premier da Arcore sarebbe intanto impegnato in una serie di telefonate con i fedelissimi per testare il polso della situazione e avrebbe avuto anche diversi colloqui con i governatori del centrodestra in vista delle riunioni delle giunte per scegliere i rappresentanti delle Regioni. Se ufficialmente il centrodestra resta pronto a convergere sul nome del Cavaliere come candidato al Colle, questa compattezza sembrerebbe granitica solo in apparenza. Rumors di Transatlantico riferiscono infatti di dubbi e di sospetti incrociati sulla solidità dell’accordo a sostegno del Cavaliere. Gli occhi sono innanzitutto puntati sugli alleati: Salvini e Meloni. Il leader della Lega avrebbe dato diverse rassicurazioni sul voto a Berlusconi anche perché – è il ragionamento che si fa nel centrodestra – con il Cavaliere al Colle, l’ex ministro dell’Interno completerebbe l’opa sul partito azzurro. Una mossa per accrescere consenso all’interno della coalizione ed un modo, spiegano, per non restare all’angolo in Europa. Anche Giorgia Meloni ha dichiarato più volte che, se candidato, il suo partito è pronto a sostenere Berlusconi. Ma dentro Forza Italia non tutti ci credono, anche perché l’Ansa riporta voci non confermate raccontano di una riunione in cui la leader del partito tricolore in realtà avrebbe espresso seri dubbi sulla candidatura di Berlusconi.

E nel centrosinistra? Nell’agenda della ripresa di Letta due appuntamenti sono cerchiati in rosso: dopo l’Epifania, anche se i contatti telefonici sono continuati pure in questi giorni, avrà un nuovo incontro con Giuseppe Conte e Roberto Speranza per definire una linea comune in vista della partita del Quirinale. E poi appunto la direzione del partito il 13. Non è un mistero che tra i membri della direzione e i gruppi parlamentari, che parteciperanno alla riunione, esistano maggioranze e visioni diverse che rischiano di entrare in collisione in una partita delicata come quella del Colle. L’obiettivo di Letta è compattare il partito e ricevere un mandato pieno a trattare su due direttrici: un presidente della Repubblica dal profilo il più unitario possibile, avanti con la legislatura fino a scadenza naturale. Fin qui la compattezza del Pd sembra quasi scontata ma nel partito non mancano i maldipancia rispetto al nome di Draghi che per Letta è più che un’opzione. Proprio per cercare di compattare tutti, il segretario chiarirà in direzione un punto: la trattativa per Draghi al Quirinale si deve intrecciare con una parallela riflessione sul governo e sul premier. Un argomento che convince la minoranza di Base Riformista e quanti temono che in fondo Letta punti alle elezioni anticipate e quindi sono contrari all’ipotesi Draghi. Non c’è preoccupazione invece nel Pd e anche in Liberi e Uguali sulla linea di Conte e M5s. Nelle ultime ore dai vertici 5 Stelle chiariscono che i pentastellati vogliono “un profilo alto” e di garanzia e non c’è in M5s “alcun pregiudizio o veto” su nessuno e tanto meno su Draghi. “Diffidiamo chiunque dall’usare M5s per sbarrare la strada a candidati non graditi ad altri”.

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