Un corposo report di analisi sul decennio 2010-2020 pubblicato dalla Fifa riporta le cifre ufficiali dei trasferimenti dei calciatori: Portogallo, Brasile e Olanda sono i paesi con più profitti, l'Italia a un saldo negativo di 1.1 miliardi, dietro solo a Inghilterra e Cina. Ma confrontando i dati con i bilanci delle società, emerge come "spariscano" oltre 3 miliardi di euro ogni anno. Ecco dove finiscono
Ogni anno il giro di denaro complessivo per il trasferimento dei calciatori ammonta a circa 6 miliardi di euro. E’ quanto emerge da un corposo report di analisi sul decennio 2010-2020 del mercato pallonaro mondiale pubblicato dalla Fifa, la quale, registrando tutte le transazioni dei giocatori in un sistema informatico centrale, è l’unico organismo ad avere accesso a una panoramica costante dei flussi di denaro. Quantomeno, di quelli ufficiali. Una prima lettura del report vede Portogallo, Brasile e Olanda quali paesi che agiscono come El Dorado del player trading, avendo totalizzato nella decade esaminata profitti per rispettivamente 2.5, 1.7 e 1.1 miliardi di euro. Dietro di loro il vuoto, con le immediate inseguitrici – Argentina, Francia e Belgio – che si trovano a centinaia di milioni di distanza dal podio. Nella classifica inversa invece terzo posto per l’Italia, con un saldo negativo di 1.1 miliardi, dietro solo a Inghilterra (-6.3 miliardi) e Cina (-1.2).
Negli ultimi anni è incrementata fortemente l’accessibilità ai bilanci delle singole società, risultando pertanto possibile confrontare i dati del report Fifa con quanto effettivamente incassato dai singoli club, anno dopo anno, dalla vendita dei giocatori. Il risultato è inquietante: oltre il 50% dei ricavi da trasferimenti non finisce sui conti dei club. Esiste quindi un buco nero, pari a oltre 3 miliardi di euro annui, nel quale vengono inghiottiti i soldi delle cessioni. I 32 club professionistici olandesi, ad esempio, nel decennio 2010-2020 hanno fatto registrare un profitto pari a 519 milioni, con il solo Ajax titolare di un utile da 179 milioni. Cifre notevoli, ma ben lontane dal miliardo e 100 milioni che risulta alla Fifa. Ancora più marcata è la differenza in Portogallo, che posiziona tre sue squadre (Sporting Lisbona, Benfica e Porto) sul podio del miglior risultato netto della decade, attestandosi però a un utile complessivo di circa 1 miliardo di euro, lontano quasi un miliardo e mezzo dai dati elaborati a Zurigo.
Portogallo e Olanda rappresentano due eccellenze sia per quanto riguarda i vivai, sia per la struttura dello scouting. Sono tuttavia paesi molto diversi e anche la natura della dispersione di denaro citata poco sopra non è comparabile. Il Portogallo è stato uno dei paesi dove si è maggiormente diffuso il fenomeno dei TPO (Third Party Ownership), ovvero la cessione a società private, esterne ai club calcistici, di una percentuale del cartellino di un calciatore. Spesso società controllate da procuratori, le TPO (la Gestifute di Jorge Mendes in primis) hanno fatto affari d’oro in terra portoghese, ma anche in Brasile, prima che nel 2015 la Fifa decise di togliere alle singole Federazioni il compito di regolamentare il fenomeno delle TPO introducendo un articolo che vietava qualsiasi transazione commerciali che coinvolgeva terze parti. Quando nel 2014 Joao Moutinho fu ceduto dal Porto al Monaco per 25 milioni di euro, i portoghesi ne incassarono meno di 10, dal momento che il 37.5% del cartellino del giocatore era detenuto dalla società Mamers. Al resto della cifra andavano dedotte le tasse, la percentuale al giocatore, la commissione al procuratore e i costi di formazione.
Nonostante il divieto della Fifa, la finanza creativa si trova sempre un passo avanti e uno dei metodi utilizzati dai club per sfuggire alla regola è quello del floating charge, ovvero addebiti variabili sui conti designati dove vengono versati i proventi per la cessione dei giocatori. Nato originariamente come un contratto di garanzia sui beni di una società, con possibilità di rivalsa anche in caso di insolvenza o di fallimento, nel calcio questo istituto è stato adattato alle esigenze dei club e delle TPO con i quali sono in affari. Tra i più attivi nell’utilizzo di questa pratica ci sono il Porto, come emerso dai documenti pubblicati da Football Leaks, e diversi club spagnoli, tra cui l’Atletico Madrid, multato nel 2019 dalla Fifa.
Le commissioni dei procuratori rappresentano un altro importante fattore di erosione delle somme incassate dalle società sul mercato. I 49 milioni di euro finiti nelle tasche di Mino Raiola per il trasferimento di Paul Pogba dalla Juventus al Manchester United sono con tutta probabilità un record mondiale. Il presidente della Fifa Gianni Infantino è da tempo al lavoro su una riforma del mercato attraverso l’introduzione di un tetto massimo alle commissioni anche se, secondo diversi addetti ai lavori, è un palliativo per un mercato sempre più incontrollabile. Tra questi c’è Ernie Brandts, da oltre 20 anni direttore sportivo (Az Alkmaar, Psv Eindhoven, Everton). “Rispetto a quello della Fifa, mi sembra più efficace l’approccio inglese. Lì il giocatore paga le tasse sul 50% della commissione del proprio procuratore, alla lunga questo porta a un deprezzamento di queste commissioni, perché nessuno vuole pagare migliaia di euro perché il proprio agente ne ha intascati milioni. Il gioco non vale la candela, o quanto meno non la vale nella maggioranza dei casi”.
Rispetto a vent’anni fa, sono cresciute sensibilmente anche le percentuali sulla cessione spettanti ai giocatori. Se all’inizio del millennio era difficile che queste superassero il 3-5%, oggi la media varia tra il 10 e il 15%. Una conseguenza dell’incremento del potere contrattuale dei calciatori, ottenuto grazie al ruolo sempre più importante assunto dai procuratori, che ha indebolito la posizione negoziale delle società. Ci sono poi i bonus sulle future cessioni e i già citati costi di formazione versati alla società nel quale si è formato il giocatore, con casi singolari come quello di Frenkie de Jong, che quando passò per 86 milioni di euro dall’Ajax al Barcellona garantì al Willem II, club nel quale era iniziata la sua carriera, un’entrata di 8.6 milioni, derivante dal 10% del costo del suo cartellino destinato alla quota “vivaio”.
Il Willem II non aveva mai incassato così tanto nella sua storia nemmeno da una cessione diretta al lordo di tutte le spese. De Jong è anche utile per introdurre una ulteriore voce che contribuisce ad abbassare di oltre la metà la cifra relativa agli incassi netti dei club: il fondo giocatori. Il Barcellona, a causa della disastrosa situazione finanziaria nel quale si trova, ha acquistato il centrocampista olandese a rate. Tuttavia l’Ajax, per avere subito a disposizione sui propri conti il denaro derivante dalla cessione, ha prelevato questi soldi da un fondo giocatori precedentemente costituito. A tale fondo, che può essere comune anche a più squadre (solitamente quelle che non hanno un unico proprietario), spetta ovviamente una percentuale al momento della restituzione dell’importo precedentemente erogato.
Alla fine la somma di buona parte di queste voci porta a conti correnti e disponibilità reali ben più leggeri di quello che i tifosi pensano e tante analisi di mercato dicono.