L’Egitto ha dato il via libera al rilascio di un altro prigioniero politico di grande spessore. Mancano i dettagli, ma secondo fonti giudiziarie, Ramy Shaat, 48 anni, l’attivista egiziano di origini palestinesi in cella nel carcere di Tora, al Cairo, dal luglio del 2019, è stato rilasciato nel corso del pomeriggio di ieri e presto verrà deportato fuori dal Paese nordafricano. Le procedure per il rilascio, particolarmente lunghe e delicate in Egitto, sono andate avanti per diverse ore. Su di lui pendeva il rischio di una condanna a svariati anni di prigione per la sua presunta affiliazione a un gruppo terroristico.

Shaat è stato uno dei pilastri della rivoluzione di piazza Tahrir nel gennaio 2011. Una notizia attesa dagli ambienti delle organizzazioni che si battono per la tutela dei diritti umani in Egitto, ma soprattutto dalla moglie, Céline Lebrun, cittadina francese. Nel marzo scorso il Fatto Quotidiano l’aveva intervistata al rientro dall’Egitto, dove aveva ricevuto l’ok del governo per incontrare il marito per la prima volta dal suo arresto, avvenuto nella notte tra il 4 e il 5 luglio del 2019: “In caso di una condanna, oltre al carcere Ramy rischia di non poter più lasciare l’Egitto e fare politica”, aveva dichiarato. Ieri sera, contattata da Ilfattoquotidiano.it, la Lebrun ha confermato la procedura di rilascio, chiedendo però prudenza in vista di un rilascio concreto.

In questi otto mesi sembrava che per il noto attivista non ci fossero notizie positive in arrivo, ieri pomeriggio invece le prime conferme sul rilascio hanno iniziato a circolare: “Ora è ufficiale, le autorità egiziane hanno deciso di rilasciare Ramy Shaat”, ha twittato verso le 20 Patrick Zaki. La grande famiglia delle organizzazioni egiziane a tutela dei diritti umani ha iniziato un vorticoso tam-tam per annunciare l’imminente provvedimento: “Shaat sarà presto liberato ed espulso dal Paese dopo aver trascorso un lungo periodo in attesa di giudizio – è il commento di Mohamed Anwar al-Sadat, leader politico e membro del Consiglio Nazionale per i Diritti Umani – Porgo le mie congratulazioni a lui, alla sua famiglia, alla moglie e a tutti i suoi amici che lo hanno supportato in questi anni. Un grazie, inoltre, anche alla Procura del Cairo, ai ministri dell’Interno e degli Esteri, all’ambasciata francese al Cairo, all’Autorità Palestinese (il padre di Ramy Shaat è stato a lungo consigliere del leader dell’Anp, Abu Mazen ndr.) e a Sonia Karimi, a capo del gruppo di contatto franco-egiziano in seno all’Assemblea nazionale”.

In Egitto, negli ultimi mesi, il regime ha mostrato evidenti segnali di distensione nei confronti degli attivisti. Resta, tuttavia, tantissimo ancora da fare. Dopo la notizia del rilascio di Patrick Zaki, poco meno di un mese fa, in attesa dell’udienza del 1 febbraio, il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha rilasciato Sanaa Seif e pochi giorni fa Ola al-Qaradawi, moglie di un noto studioso affiliato ai Fratelli Musulmani, arrestata il 30 giugno 2017. A far da contraltare, il 20 dicembre scorso, le condanne di Alaa Abdel Fattah, fratello di Sanaa Seif, altro pilastro della rivolta egiziana del 2011, del blogger Mohamed Oxygen Ibrahim e dell’avvocato Mohamed al-Bakr. La settimana successiva è toccato ad altri prigionieri di coscienza, tra cui il politico Ziad el-Alimi, arrestato nello stesso periodo di Ramy Shaat, e il giornalista Hicham Fouad.

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