La relazione "per orientare le azioni del governo", prevista dal Pnrr, è stata pubblicata il 31 dicembre. Entro la metà del 2022 vanno adottate nuove norme. Il dipartimento delle Finanze boccia il cashback perché costa molto e non risulta abbia avuto particolare impatto sui settori a maggior rischio evasione, mentre promuove la lotteria che va rilanciata. Le altre richieste riguardano il massiccio utilizzo delle informazioni in possesso delle Entrate per individuare i contribuenti "a rischio" e la trasformazione delle attuali comunicazioni amichevoli in atti idonei alla riscossione quando il destinatario non risponde
Bocciato il cashback: ha davvero incentivato i pagamenti elettronici e la digitalizzazione, ma non risulta che abbia avuto effetti “significativamente differenti” per i settori in cui è maggiore la propensione ad evadere (ma soprattutto costa troppo). Promossa la lotteria degli scontrini, che sarà affiancata da un’estrazione istantanea e verrà finalmente pubblicizzata. Ma dovrebbe anche essere semplificata, eliminando la necessità di comunicare il codice personale prima del pagamento. Per il resto, secondo il Tesoro la strada migliore per ridurre l’evasione fiscale passa per un massiccio uso dei dati già a disposizione delle Entrate e un allargamento dell’obbligo di fatturazione elettronica, che si sta rivelando determinante nel contenere il fenomeno delle mancate dichiarazioni Iva. Le indicazioni arrivano dalla “Relazione per orientare le azioni del governo volte a ridurre l’evasione derivante da omessa fatturazione”, uno dei traguardi del Recovery plan per il 2021, che è stata resa pubblica il 31 dicembre. Il dipartimento delle Finanze del Mef, autore del documento, si limita come previsto a suggerire soluzioni che l’esecutivo dovrà vagliare e iniziare ad adottare entro la metà del 2022, in base al cronoprogramma del Pnrr.
La valutazione ex post del piano Italia Cashless del governo Conte è finita qui dentro (a sette mesi dalla decisione di stoppare il programma cashback) perché le forme di incentivo al pagamento con carta rivolte ai consumatori sono uno dei modi in cui è possibile creare il famoso “contrasto di interessi” tra chi vende e chi compra, rendendo più conveniente per l’acquirente pretendere che la transazione sia regolare. Questo però non basta, spiega la relazione, perché se in parallelo non si aumenta la percezione che sia probabile un controllo “è quasi sempre possibile” per il venditore convincere l’acquirente riducendo il prezzo: il classico “sono 70 euro con la fattura, 50 senza”. Non solo, e qui vengono i dolori: anche se il pagamento è elettronico “nell’attuale contesto normativo e organizzativo dell’amministrazione finanziaria non sempre l’informazione è effettivamente e massivamente utilizzabile per orientare l’attività di controllo, o per motivare una sorta di “accertamento automatico” nei confronti del venditore che omette di fatturare o dichiarare la vendita”. Quindi che fare?
Per quanto riguarda il cashback, i risultati “non suggeriscono di riproporne l’adozione come strumento indiretto di riduzione dell’evasione fiscale e dell’economia sommersa”. Questo perché, stando all’analisi costi benefici fatta dagli esperti del Tesoro “non può essere stabilita una relazione causale chiara tra gli incentivi previsti e la riduzione dell’evasione fiscale”. Per chiarezza: i dati raccolti mostrano che nel primo semestre 2021, quando è stato in vigore il rimborso del 10% della spesa effettuata con carta fino ad un massimo di 150 euro, sia il numero sia il valore delle transazioni con pagamenti elettronici sono aumentati in maniera significativa rispetto al primo semestre 2019 (da 300 a 430 milioni di transazioni, da 16,5 a 20,3 miliardi di valore). Su questo fronte, dunque, il giudizio è positivo. Ma sulla base di stime “preliminari e limitate” non si può dire che l’impatto sia stato maggiore nei comparti in cui è maggiore la propensione a evadere. Considerati i costi, circa 3 miliardi l’anno, per il Mef il gioco non valeva la candela.
Sulla lotteria il documento spiega invece che non sono ancora disponibili dati sufficienti per una valutazione ex post. Nonostante questo, il meccanismo stesso – il banco vince sempre – fa sì che la misura non causi perdite per lo Stato. Il problema però è che, mai più pubblicizzata da quando è cambiato il governo, la misura ha registrato una partecipazione in continuo calo. Molti, anche tra i negozianti, sono convinti che sia stata abolita. E stando a un sondaggio commissionato dall’Agenzia delle dogane il 60% degli italiani non lascerebbe il commerciante di fiducia per servirsi da un altro che consente di partecipare alla lotteria. Per il Tesoro va rilanciata e il piano è già partito: Agenzia delle dogane e Agenzie delle Entrate stanno lavorando per introdurre un’estrazione istantanea con premi più piccoli, tipo Gratta e vinci, e una partecipazione automatica attraverso moneta elettronica e app al posto del macchinoso sistema che impone di fornire ogni volta il codice lotteria. E si pensa anche “iniziative ad hoc” sulla Rai per l’estrazione del premio annuale da 5 milioni e una nuova campagna di comunicazione.
Le altre proposte del dipartimento guidato da Alessandro Rivera riguardano per la maggior parte l’uso dei dati per l’analisi del rischio di evasione, con gli inevitabili caveat legati alla privacy nonostante la legge di Bilancio per il 2020, due anni fa, abbia inserito il contrasto all’evasione tra le attività di “rilevante interesse generale” consentendo la profilazione e limitando in parte i diritti degli interessati. E un secondo passo è arrivato poche settimane fa con il decreto Capienze, in cui si prevede – come auspicato nella relazione, che a questo però non fa cenno – che un atto amministrativo sia sufficiente come base giuridica per il trattamento dei dati. Le richieste del dipartimento Finanze sono molto specifiche: ci sono per esempio l’estensione della fatturazione elettronica alle piccole partite Iva in regime forfettario (in attesa che dal Garante privacy arrivi il via libera all’uso di tutti i dati già in possesso delle Entrate) e il rinvio della possibilità per gli interessati di avere conferma che le Entrate stanno esaminando i loro dati. Ma si auspica anche che dal governo arrivi il via libera alla raccolta sistematica e massiva di informazioni sul web attraverso l’intelligenza artificiale (con le tecniche che gli addetti ai lavori chiamano data scraping) per “estrarre qualsiasi tipo di informazione“, come già avviene in Francia. Questi dati, compresi quelli resi pubblici dagli utenti sui social, verrebbero poi analizzati e incrociati per individuare discrasie tra reddito dichiarato e consumi.
C’è poi la richiesta di trasformare alcune tipologie di comunicazioni “cambia verso“, quelle introdotte nel 2015 per incentivare l’adempimento spontaneo, in titoli subito idonei alla riscossione degli importi evasi nel caso in cui il contribuente non risponda. Cosa che accade molto spesso. Il quadro descritto nella relazione fa capire che non si sono molte alternative, perché “il significativo aumento di comunicazioni da inviare nel triennio 2022-2024 non risulta gestibile in sede accertativa” considerate le risorse dell’Agenzie, gli obiettivi che deve raggiungere e “il ridotto numero di soggetti che si presume si ravvedrà“. Se non cambia qualcosa, avverte il Tesoro, il risultato sarà probabilmente “un aumento della propensione all’inadempimento, causata dalla riduzione del rischio percepito“. Non è il caso, considerato che nonostante la riduzione degli ultimi anni l’evasione sfiora ancora i 100 miliardi di euro di cui circa 37 di Irpef e 28 di Iva.