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Guarire dal Covid con gli integratori? L’infettivologo smonta la bufala di Walter Nudo: “Significa fare da cavie a una sperimentazione non autorizzata”

Quando pensiamo agli integratori, dobbiamo considerarli come un aiuto a mantenere delle funzioni fisiologiche nell’individuo sano, non a curare malattie”, ci risponde il dottor Biagio Tinghino, medico infettivologo e autore del libro "Pandemie. Dalla peste al Covid. Storie e rimedi per affrontare le emergenze sanitarie"

di Ennio Battista

“Ci stiamo avvicinando verso la negatività. Ringrazio tutti per i messaggi. La cosa importante è che vi prendiate cura di voi stessi. Sono molto importanti gli integratori e quindi ripeto ancora una volta qui la lista”. Così ha scritto di recente l’attore Walter Nudo, 234mila followers su Instagram e su Facebook, durante la sua quarantena, contagiato dal virus del Covid insieme alla compagna. Quali sono gli integratori di cui sta parlando? Omega-3, zinco, vitamina C, gocce, ecc. Sostanze che Nudo specifica di prendere abitualmente ma che le accosta in maniera costante all’idea di guarigione dal virus da cui è infetto. Ma esistono integratori che secondo le conoscenze attuali possono guarire dal Covid-19? “No. Quando pensiamo agli integratori, dobbiamo considerarli come un aiuto a mantenere delle funzioni fisiologiche nell’individuo sano, non a curare malattie”, ci risponde il dottor Biagio Tinghino, medico infettivologo e autore del libro Pandemie. Dalla peste al Covid. Storie e rimedi per affrontare le emergenze sanitarie (Edizioni ADV, pp. 234, € 18,00). “Una vitamina, per esempio, che contribuisce a far funzionare bene il sistema immunitario spesso è totalmente inefficace quando la malattia si è già instaurata”, prosegue Tinghino. “Usare un integratore come se fosse una terapia, significa di fatto fare da cavie a una sperimentazione non autorizzata, senza nessun controllo e col rischio di rifiutare cure o strumenti di prevenzione dimostratesi efficaci, come i vaccini”.

Dottor Tinghino, ci sono sperimentazioni, come per la vitamina D, che negli scorsi mesi sembravano dare qualche indicazione per almeno un trattamento coadiuvante contro questo virus. A che punto siamo?
“Sappiamo da tempo che i soggetti con gravi carenze di vitamina D (ma anche altri oligoelementi) hanno infezioni respiratorie più gravi e la correzione di questo deficit costituisce un aiuto a superare meglio queste patologie. Ciò dovrebbe farci riflettere sul ruolo che hanno un sano stile di vita e una nutrizione equilibrata nel mantenerci il più possibile in salute. Altra cosa è considerare la vitamina D una ‘cura’ per il Covid. Quando sono stati fatti studi sperimentali specifici non sono emersi dati incontrovertibili di efficacia. Assumere un po’ di vitamina D alle dosi permesse per un integratore può essere utile, ma non bisogna basare le proprie speranze di guarigione su questo fatto. Se la vitamina D avesse delle qualità terapeutiche così importanti, dovremmo vedere una chiara differenza nella mortalità e nell’ospedalizzazione a seconda dell’esposizione alla luce solare. Le regioni con clima mite e soleggiato dovrebbero essere esenti da questa piaga, ma purtroppo non è così”.

Come mai gli integratori spesso hanno successo nell’ambito delle bufale mediche?
“Il problema è che gli integratori vengono venduti per coadiuvare le funzioni fisiologiche delle persone sane (non vengono richiesti studi sperimentali) e poi sono spesso usati come ‘cura’. Troppo spesso ci si basa solo sui meccanismi teorici di funzionamento, ma in medicina ciò non basta, servono le sperimentazioni sull’uomo, su casi ‘veri’. Gli studi sui farmaci prevedono, soprattutto, la necessità di confrontare il gruppo dei soggetti che usa un rimedio con un altro gruppo (di controllo) che non usa nulla. Molte molecole che sembravano promettenti negli studi in vitro o su animali poi non hanno dimostrato nessuna efficacia sui pazienti”.

Non esistono cure efficaci “non ufficiali”?
“La differenza tra una cura ‘ufficiale’ e una non ufficiale sta solo nel fatto che nel primo caso vengono fatte delle sperimentazioni, si portando dati sufficienti; nel secondo caso no. L’infezione da Sars Cov2 è mortale, se non curata, nell’1-3% dei casi. È facile perciò avere il consenso sui social esibendo l’altro 97-99%. Il punto è che le nuove cure vanno studiate su migliaia di pazienti, selezionati all’interno di tutte le fasce di età e anche con patologie gravi, confrontando i risultati (gruppo di controllo) con le cure già esistenti”.

Eppure talvolta ci sono ricerche che portano risultati che sostengono l’una o l’altra ipotesi.
“Bisogna essere in grado di leggere i dati, ossia ‘sapere come sapere’. Da decenni ormai in medicina si usano metodi per classificare la forza delle evidenze e il livello di attendibilità delle sperimentazioni. Un profano può scambiare facilmente come ‘prove inconfutabili’ studi che gli esperti ritengono ad alto rischio di errore”.

Quali altre fake news circolano in ambito della pandemia che possono ostacolare una seria lotta al virus?
“Nel corso dei mesi sono state proposte numerose cure ‘miracolose e nascoste’, e chi ha la tendenza alla diffidenza verso le istituzioni si fida di più del fai-da-te che non della comunità scientifica. Mi sono reso conto che discutere sui singoli contenuti spesso non porta a niente. Bisogna partire dal condividere prima le conoscenze di base sui cui si basa la ricerca, alfabetizzare sul metodo della scienza e sul pensiero critico. Se si spendesse più tempo nel mostrare quali processi rigorosi stanno dietro ogni terapia, sono convinto che molti cambierebbero opinione”.

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