La “Transizione” nasce come un un movimento che promuove iniziative per garantire la resilienza di una comunità, vale a dire la sua capacità di continuare a funzionare nonostante le crisi: economiche, ecologiche, disastri naturali. A teorizzare il concetto di “transizione ecologica” era stato un ambientalista britannico, Rob Hopkins, che, basandosi su esperienze di autonomia e resilienza locale, pubblicò una serie di principi e pratiche in un libro di successo: The Transition Handbook: From Oil Dependency to Local Resilience (White River Junction: Chelsea Green Publishing, 2008).
Con una visione ottimistica sul futuro, la Transizione è un concetto affascinante che ha riscosso un largo successo, amplificato dalla pandemia. E un forte impatto in molti campi, anche lontani dall’orticello del Devon che l’autore cura con passione.
L’idea della transizione ecologica è stata molto apprezzata dalle città disposte ad affrontare in modo serio e consapevole il cambiamento climatico e la dipendenza dal petrolio. In seguito, questo concetto ha progressivamente conquistato altre sfere economiche e sociali. Oggi, la transizione ecologica riguarda non soltanto la produzione e l’uso dell’energia a scala locale, ma il principio è diventato globale e si è allargato all’industria e all’agricoltura; entrambe in crisi per motivi diversi ma convergenti, dopo la crisi finanziaria di una decina d’anni fa e sotto la spinta della crescita demografica.
Molti settori sono stati influenzati dai principi della Transizione. In urbanistica, essa comporta la densificazione urbana, la generazione di spazi verdi, l’efficienza energetica, l’uso intelligente e parsimonioso dell’acqua, il riciclo, la lotta allo spreco del cibo. Nel settore dei trasporti, la ecomobilità emerge come la soluzione principale: car sharing e biciclette pubbliche, per esempio, anziché enormi Suv. Pur con grandi difficoltà e parecchi ostacoli di mercato, l’agricoltura biologica acquisisce uno spazio crescente, promuovendo una nuova cultura alimentare.
La transizione ecologica resuscita anche concetti obsoleti ma vitali come la cooperazione e la complementarità. Poiché la transizione ecologica disegna una dinamica bottom-up, la partecipazione dei cittadini è centrale per il funzionamento di tutte queste iniziative. E ci pone perciò un quesito: quanto sono sincere e leali a questa impostazione le politiche nazionali e sovranazionali post-pandemia del mondo occidentale? In particolare, il Green Deal che disegna il nostro futuro.
Se ecologica, la transizione energetica ha due capisaldi: l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. Se ecologica, la transizione industriale mira alla produzione locale di beni riciclabili in una prospettiva di economia circolare. Se ecologica, la transizione agroalimentare porta alla sostituzione dell’agricoltura industriale con quella biologica.
Lascio giudicare al lettore se nucleare da fissione e gas naturale soddisfino le aspettative di una transizione energetica declinata in senso ecologico, se la elettrificazione dei veicoli risponda alla necessità di ridurre i consumi energetici e aumentare la resilienza urbana, se i sistemi irrigui obsoleti si migliorano semplicemente costruendo nuove dighe.
Una buona parte dei soldi pubblici del Green Deal andranno però a puntellare la traballante industria nucleare fissile, a diffondere veicoli sempre più pesanti e ingombranti ancorché elettrici per il trasporto individuale, a costruire nuovi invasi irrigui. Le bocche da sfamare sono molte e, spesso, si sanno mimetizzare con astuzia. Speriamo che questi soldi non siano troppi e, soprattutto, non tolgano ossigeno alle iniziative coerenti ai principii della transizione ecologica che il Green Deal sta comunque promuovendo.
Ma c’è anche un’altra domanda. Chi ha disegnato il Green Deal ha dato ascolto agli imprenditori astuti come Peter Isherwell oppure a ricercatori appassionati e disaccorti come Randall Mindy, e a dottorandi curiosi e ingenui come Kate Dibiasky? Isherwell è il personaggio più emblematico di Don’t Look Up, film dell’anno. Padrone della onnipresente conglomerata Bash, è il costruttore visionario di smartphone invasivi e di robot fallimentari che conduce la Terra verso una catastrofe annunciata di origine astrofisica. Randall e Kate gli studiosi che vi si oppongono invano. E sappiamo bene che i guai della Terra l’uomo se li costruisce anche da solo, senza bisogno che piovano dal cielo.
La Transizione sostituisce l’inclinazione al mugugno fine a se stesso con una visione fermamente ottimistica sul futuro. La Transizione vede nelle crisi economiche, sociali e ambientali della società una opportunità per cambiare il nostro modo di vivere. Piuttosto che sprofondare nella disperazione e nella passività, la Transizione reclama azioni concrete. E coerenti con il concetto di sviluppo sostenibile. Speriamo che il Green Deal non riduca la Transizione a un’altra, ultima utopia.