Con il passare dei giorni si accumulano le informazioni e gli studi sulla variante Omicron di Sars Cov 2. Guido Silvestri, professore ordinario e direttore del dipartimento di Patologia Generale e Medicina di Laboratorio alla Emory University di Atlanta (Usa), in un lungo post su Facebook ha fatto il punto sulla mutazione rilevata per la prima volta in Botswana e Sudafrica a inizio novembre e che ha provocato un’impennata di contagi in molti paesi compresi gli Usa che hanno registrato 1 milione di casi in 24 ore. Lo scienziato conferma la ridotta letalità della mutazione, ma avverte che comunque potrebbe portare a un numero di morti elevato tra i non vaccinati. Ed è proprio un appello alla “vaccinazione universale” quello che arriva insieme all’importanza di un adeguamento dei vaccini. Nei giorni scorsi sia Pfizer che Moderna hanno fatto sapere che ci vorrebbe circa 3 mesi affinché i composti anti Covid a Rna messaggero siano ricalibrati sulla nuova mutazione.
“Omicron è molto diverso da Delta e dalla altre varianti … con 45 mutazioni amino-acidiche rispetto allo strain (ceppo, ndr) di Wuhan, di cui 30 nella proteina Spike e ben 15 nel Receptor Binding Domain (RBD), che è la parte di Spike che si lega al recettore ACE2. Omicron è chiaramente più trasmissibile di Delta & co, ed infatti le sta rimpiazzando un po’ ovunque nel mondo. Questa aumentata trasmissione sembra legata ad un’alta affinità per il recettore ACE2 ed alla capacità di aggirare le risposte immunitarie anticorpali (e forse una migliore abilità di sopravvivere in aerosol)”. La variante “è chiaramente meno patogenica di Delta nell’animale da esperimento (diversi studi indipendenti hanno confermato questo dato) e sembra causare una malattia meno grave nell’uomo, con riduzione del rischio di ricovero ospedaliero per ora stimata tra 67-80%”. Una stima che arriva anche dai dati che arrivano dal Sudafrica che ha superato il picco dei contagi “senza un significativo aumento dei contagi”.
“La minore patogenicità di Omicron sembra legata alla minore capacità di infettare le cellule e di formare sincizi nel tessuto polmonare profondo, a cui corrisponde un rischio minore di sviluppare una polmonite severa (il tutto a fronte di una aumentata abilità di infettare le cellule delle vie aeree superiori). La minore capacità di Omicron di infettare il polmone sembra legata alla incapacità di clivare (tagliare, ndr) la Spike tra le subunità S1 e S2 da parte dell’enzima TMPRSS2, cosa che rende difficile l’ingresso del virus nelle cellule usando la “cell surface fusion” (mentre è ottimizzato l’ingresso usando la “endosomal fusion”, che avviene nelle cellule delle vie aeree superiori). La minore capacità di clivare la Spike di Omicron da parte di TMPRSS2 – scrive il virologo – sembra dovuta a tre mutazioni nella zona del famoso sito polibasico di clivaggio della furina (PRRAR), note come H655Y, N679K, e P681H (da notare che quest’ultima è diversa dalla mutazione P681R tipica di Delta). “Al momento non è chiaro se ed in quale misura le mutazioni che facilitano l’ingresso per via di fusione endosomale di SARS-CoV-2 nelle cellule delle vie aeree superiori siano collegate ‘strutturalmente’ a quelle che limitano la capacità di TMPRSS-2 di clivare S1/S2 (e quindi di infettare il polmone profondo). Questo punto è da approfondire al più presto, a mio avviso. Omicron contiene una interessante e poco caratterizzata mutazione (chiamata I142V) nella nsp-14, non structural protein 14, il cui dominio N-terminale codifica per una exonucleasi coinvolta nel proof-reading della RNA polimerasi RNA-dipendente — in altre parole, si tratta di una mutazione in una proteina che potrebbe influenzare la capacità mutagenetica del virus”.
Silvestri, date queste premesse tecniche ma chiare, quindi spiega cosa può succedere in futuro: “Lo scenario migliore è che Omicron si diffonda rimanendo come tale o magari affinando ulteriormente la sua capacità di dare una una infezione delle vie aeree superiori (la cosiddetta “raffreddorizzazione”, che alcuni hanno già ipotizzato); in questo caso l’ondata potrebbe essere molto alta come numeri di contagi, ma anche piuttosto rapida nel tempo (vedi Gauteng), e con letalità più bassa delle precedenti ondate. Lo scenario intermedio è che Omicron, nonostante la ridotta letalità, alla fine causi comunque una mortalità assoluta importante nei soggetti non vaccinati o non altrimenti immuni, soprattutto se anziani o affetti da comorbidità, semplicemente come conseguenza del gran numero di infezioni (il c.d. fattore del “denominatore”, che sappiamo però non essere infinito)”. C’è anche un worst scenario ovvero che “Omicron faccia ‘marcia indietro’ sulle tre mutazioni che la rendono poco utilizzabile da TMPRSS-2 e quindi torni ad essere efficace ad infettare il polmone senza perdere la sua aumentata trasmissibilità. La probabilità di questo scenario è piuttosto bassa — anche perché non riesco ad immaginare un motivo per cui tale variante dovrebbe acquisire un chiaro vantaggio evolutivo sulla precedente. Tuttavia questa eventualità non è affatto impossibile, e merita una preparazione adeguata a livello di vaccini”.
I consigli del virologo sono ormai noti: “Evitare la tentazione di pensare di controllare questo virus con metodi basati sull’imporre la separazione forzata ad oltranza tra le persone — metodi dimostratisi già scarsamente inutili e certamente insostenibili contro le precedenti varianti ma anche contro Omicron stessa (vedi Australia e Olanda per due esempi recenti). Spingere al massimo per la vaccinazione universale, comprese terze dosi (che danno protezione neutralizzante contro Omicron molto superiore alle due dosi), e compresa soprattutto la VACCINAZIONE DEI BAMBINI, inclusi quelli sotto i 5 anni non appena possibile. È importante capire che in questo modo i minori verrebbero protetti in modo forte e probabilmente definitivo dalla eventualità descritta qui sopra – prosegue lo scienziato – Cercare di implementare al più presto gli antivirali (in particolare paxlovid e l’anticorpo monoclonale Sotrovimab) che sono efficaci contro Omicron, usandoli in modo diffuso in tutti i soggetti infettati “a rischio”, come per esempio i soggetti di età sopra i 65 anni e con malattie predisponenti al Covid severo. Non dimenticarsi di potenziare al massimo la ricettività del servizio sanitario, ricordando che Covid in un modo o nell’altro si endemizzerà mantenendo probabili picchi stagionali di incidenza (sì, è stagionale, facciamocene una ragione), ai quali bisognerà essere preparati al meglio. Cercare di fare tutti una comunicazione fattuale, science-based, priva di conflitti di interesse di ogni tipo, e soprattutto né catastrofista né minimizzatrice, ma focalizzata a spiegare quello che sta succedendo con chiarezza e semplicità, guidati come sempre dall’ottimismo che viene dalla conoscenza”.