Che Omicron possa essere meno letale è una ipotesi che si basa sui primi dati che arrivano da diversi paesi e che sono stati analizzati in più studi. E, secondo uno studio coordinato dalla Case Western Reserve University di Cleveland (Usa) e reso disponibile in pre-print su medRxiv, per i bambini al di sotto dei 5 anni il rischio di essere ricoverati per Covid-19 è un terzo rispetto al periodo in cui circolava la variante Delta.
La ricerca ha analizzato quasi 580mila diagnosi di Covid-19 effettuate nel corso del 2021, confrontando gli esiti dell’infezione nel periodo ‘pre-Omicron’ con quelli successivi alla comparsa della nuova variante. Nel complesso, lo studio ha rilevato un dimezzamento del rischio di ricovero, passato dal 3,95% del periodo di circolazione della variante Delta all’1,75% di quello di Omicron. Il rischio di visita in pronto soccorso è sceso dal 15,22% al 4,55%; quello di ricorso alla terapia intensiva dallo 0,78% allo 0,26%; quello di avere bisogno della ventilazione meccanica dallo 0,43% allo 0,07%.
Particolarmente rilevanti i dati sui bambini, specie quelli al di sotto dei 5 anni che attualmente sono l’unica fascia di età rimasta scoperta dalle vaccinazioni. Anche in questo caso i dati sono rassicuranti: il rischio di ricovero è un terzo nel periodo di circolazione di Omicron rispetto a quello in cui era dominante la variante Delta (0,96% contro il 2,65%); il rischio di visita in pronto soccorso è passato dal 21,01% di Delta al 3,89% di Omicron. Lo stesso trend è stato osservato nei bambini e ragazzi più grandi.
L’esiguo numero di casi non ha consentito invece ai ricercatori di trarre conclusioni sulle differenze in termini di necessità di terapia intensiva e di cure avanzate.
“Nonostante questo risultato incoraggiante, sono necessari ulteriori studi per monitorare le conseguenze a lungo termine dell’infezione da Omicron, la sua propensione allo sviluppo di long-Covid, l’impatto della rapidità della diffusione del virus e delle mutazione e per capire come i vaccini, i richiami o le precedenti infezioni possano alterare le risposte cliniche”, avvertono i ricercatori.