I deputati l’hanno votata senza avere il tempo di esaminarla, gli esperti chiamati a esprimere pareri sono rimasti inascoltati. Ma soprattutto il governo che l’ha scritta non ha mai corretto gli strafalcioni. Parliamo della manovra, e nello specifico della parte che modifica il Reddito di cittadinanza. A novembre ilfattoquotidiano aveva rivelato l’esistenza di commi in contraddizione tra loro. Ora che il testo è definitivamente approvato si scopre che quegli errori non sono stati corretti. Quei tredici punti della legge di bilancio rischiano peraltro di avere un effetto punitivo su quanti usufruiscono di una misura che la maggioranza afferma di aver migliorato. Italiani che percepiscono quel beneficio “come sussidio di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri”, specifica oggi il legislatore dopo i vari “reddito criminale” e “metadone di stato” che hanno trasformato l’immagine degli indigenti in scrocconi. Affermazioni, queste, definitivamente smentite dai dati. Eppure vincenti nelle modifiche introdotte. “Adotta un approccio punitivo dei poveri ai quali la misura si rivolge”, hanno ribadito i membri del ‘Comitato scientifico per la valutazione del RdC‘ voluto dal governo. E se da un lato non si risolvono problemi essenziali come quello del fallibile automatismo che stabilisce chi può lavorare e chi no, dall’altro si introducono modifiche di facciata riducendo le offerte di lavoro non rifiutabili perché congrue. Peccato che questa congruità non possa dipendere dal lavoro di navigator e Centri per l’impiego, come confermano gli stessi e come chiarito dal commissario straordinario di Anpal Raffaele Tangorra. E che a pretendere di sapere quanti hanno perso il Reddito per rifiuto di offerta congrua, si finisca per sperimentare uno scaricabarile istituzionale che culmina nel definitivo silenzio del ministero del Lavoro.
Dopo l’ok del Senato alla vigilia di Natale, per evitare l’esercizio provvisorio l’iter della legge di Bilancio è stato a tappe forzate. Tanto che la commissione Finanze di Montecitorio, cui erano state riservate tre ore per esaminarla, si è rifiutata di esprimere un parere per protesta. Per il forzista Elio Vito “il governo ha umiliato la Camera impedendo di leggere la manovra”. Ma si consoli l’ex capogruppo di Forza Italia ai tempi delle leggi ad personam: a leggere la parte dedicata al RdC c’è da credere che non l’abbia letta nemmeno il governo. Che nel testo ha lasciato anche commi in palese contraddizione proprio a causa delle modifiche governative. Ilfattoquotidiano.it lo ha scritto quando la legge era ancora una bozza del governo: se il comma 5 art. 7 della legge sul Reddito, quello modificato, dice che “è disposta la decadenza dal RdC quando uno dei componenti il nucleo familiare non si presenta presso il Centro per l’impiego entro il termine da questo fissato”, il comma 7 dello stesso articolo continua a disporre una più moderata decurtazione per gradi: “di una mensilità in caso di prima mancata presentazione”, “di due mensilità alla seconda mancata presentazione”, e solo in seguito la decadenza (art. 7, co. 7 del dl 4/2019). Non esattamente un particolare visto che ora si pretende la verifica mensile e in presenza “della ricerca attiva del lavoro”.
“Una marea di convocazioni che ingolferà inutilmente i centri per l’impiego”, spiega un navigator lombardo. E ricorda i colleghi campani e siciliani ai quali non è mai stato consentito di mettere piede nei Cpi, con un lavoro portato avanti unicamente da remoto. “E in ogni caso si tratta di convocare anche venti persone al giorno, date le centinaia di beneficiari che ognuno di noi ha in carico”, spiega. C’è poi il fatto che i navigator concluderanno la loro avventura il prossimo primo maggio, lasciando ai Cpi di riorganizzarsi anche su questo fronte. Nulla che preoccupi chi ha scritto la legge di Bilancio, dove l’importante è stabilire che chi non si presenta incorre in una sanzione. Quale? Impossibile dirlo, perché dipende dai soliti due commi in contraddizione.
Ma purtroppo non ci sono solo gli strafalcioni. Quando ancora il testo dell’esecutivo doveva approdare al Senato, le modifiche al RdC già incassavano le critiche dei membri del Comitato scientifico di valutazione del RdC, guidato dalla sociologa Chiara Saraceno per volere dello stesso Draghi. “Non affrontano nessuno dei principali problemi del Rdc e sono ispirate a una logica punitiva dei poveri”, dichiarava al Fatto Quotidiano il docente di Politica sociale a Trento Cristiano Gori. Un giudizio che anticipava di poche ore la presentazione delle dieci proposte del Comitato per migliorare la misura. Proposte consegnate direttamente nelle mani del ministro del Lavoro Andrea Orlando che in quell’occasione si disse certo dell’ispirazione che ne avrebbero tratto i lavori parlamentari sulla legge di Bilancio. Com’è andata? La risposta la dà oggi un altro membro del Comitato: “La mediazione politica non ha portato a un intervento migliorativo, ma a introdurre forti dosi di condizionalità che vanno in una direzione diametralmente opposta rispetto a quanto abbiamo indicato”, dichiara a il Manifesto Andrea Ciarini, professore di Sociologia economica alla Sapienza di Roma. Niente modifiche alla scala di equivalenza che penalizza le famiglie più numerose, niente riduzione degli anni di residenza (da 10 a 5) richiesti agli stranieri per poter fare domanda, niente di niente. Il docente ricorda inoltre che nessun paese europeo obbliga ogni singolo beneficiario di sussidi ai lavori gratuiti di pubblica utilità, come i Puc attivabili dai Comuni ai quali, almeno in teoria, tutti i beneficiari del Reddito sono tenuti per 16 ore a settimana. “Dobbiamo capire che c’è una quota strutturale, quasi incomprimibile, di persone a rischio povertà che non possono che essere sostenute economicamente”.
“Dobbiamo capire”, invece no. E si introducono novità come l’equiparazione della domanda di RdC a una dichiarazione di disponibilità al lavoro, che lascia il tempo che trova per disoccupati di lungo corso, per chi non ha mai lavorato o per chi non è mai andato oltre le elementari. Mentre a determinare se l’Inps dovrà affidare il beneficiario ai Cpi o ai servizi sociali del comune rimane un freddo automatismo: nei due anni precedenti la domanda di Reddito hai firmato un Patto di servizio presso un Centro per l’impiego? Allora puoi lavorare. Peccato che questi documenti, che dovrebbero attestare il profilo di occupabilità di un disoccupato, siano spesso sottoscritti per accedere a esenzioni come quella sanitaria. E siccome l’intero nucleo familiare segue il destino del titolare della domanda di RdC, è facile immaginare quante persone si siano ritrovate al posto sbagliato. E spesso senza rimedio. Nulla che non sia stato denunciato più volte dai navigator, ma niente è finito nei miglioramenti della legge di Bilancio.
Piuttosto ci si è concentrati nel partorire regole più stringenti, come quelle che riducono da tre a due le offerte di lavoro congrue non rifiutabili, pena la decadenza dal beneficio. Peraltro. la grande maggioranza dei percettori è già al primo rinnovo del RdC, per il quale va presentata nuova domanda e in cui l’offerta irrifiutabile è da sempre una sola. Il che basta a rendere quella del governo una modifica di facciata, aggiunta a una norma già di per sé inefficace. “Perché la procedura per l’offerta congrua non esiste, non c’è modo di segnalarla”, dichiarano i navigator di tutta Italia, spiegando che le condizioni che l’offerta dovrebbe presentare per dirsi tale semplicemente non si realizzano. E comunque “sta all’azienda fare un’offerta congrua”, ha puntualizzato il commissario straordinario dell’Agenzia nazionale politiche attive per il lavoro, Raffaele Tangorra, non senza dimenticare che i due terzi delle offerte accettate dai percettori riguardano contratti inferiori ai tre mesi o addirittura al singolo mese. Nondimeno, la riduzione delle offerte non rifiutabili è la novità più sbandierata tra i correttivi del governo. Impossibile dire se un’offerta congrua sia mai stata segnalata a un percettore del Reddito. Più semplice dovrebbe essere scoprire se esistono beneficiari decaduti dal RdC per aver rifiutato tali offerte. Dovrebbe saperlo l’Inps, che a quelle persone dovrebbe aver sospeso l’erogazione della misura. “Questi dati basta chiederli al ministero del Lavoro”, risponde l’Istituto. Può saperlo la stessa Anpal, sulla quale piattaforma passano le segnalazioni delle condizionalità fatte dai centri per l’impiego. “La titolarità di quei dati è del ministero, chiedete a loro”, la replica. Il ministero del Lavoro, sollecitato molte volte da ilfattoquotidiano.it, non ha mai voluto dare una risposta in merito.