Tutti contro tutti sul rientro a scuola. Alla vigilia del Consiglio dei ministri che si terrà domani, è scontro tra le Regioni e il Governo ma anche tra gli stessi presidenti. Ad aprire il fronte di guerra è il numero uno del Veneto Luca Zaia che in un’intervista al Corriere della Sera di oggi dice senza mezzi termini: “Tifiamo tutti per la ripartenza il 10 gennaio, ma se ce lo consigliassero gli scienziati non sarebbe una tragedia rinviare all’inizio di febbraio”. Un’idea d’altro canto già avanzata dal coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli, che ieri su La Repubblica era possibilista: “Possiamo ragionare di una settimana, allungando però le lezioni a giugno, non dobbiamo privare i nostri ragazzi di un singolo giorno di scuola”. Le parole di Zaia sono balsamo per il governatore della Campania Vincenzo De Luca che fino a ieri sembrava l’unica voce a gridare nel deserto: “Meglio riaprire tra due o tre settimane”. E aggiunge su La Stampa di stamattina: “La decisione spetta al governo. Se poi la situazione dovesse diventare drammatica, la Regione farà quello che ritiene necessario per la tutela della salute pubblica”. Una proposta, quella dell’ex sindaco di Salerno, considerata “ragionevole” anche dal Governatore della Toscana Eugenio Giani. A prendere le distanze dai presidenti “rigoristi” è invece l’Emilia Romagna che preferisce affidarsi alle scelte di governo; il presidente Stefano Bonaccini su “La7” ieri ha detto: “Nessun rinvio ma il Governo avanzi una proposta”.
Dal fronte di palazzo Chigi e di viale Trastevere arriva un no secco al posticipo. Fin dalle prime ore del mattino nessuno ha raccolto con entusiasmo la proposta di rinviare l’apertura. Il mantra del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi non cambia: “Si riparte il 7 e il 10”. Oggi sarà, comunque, una giornata decisiva. Nelle prossime ore, Regioni, sindacati, partiti e maggioranza tenteranno di trovare una quadra affinché sul tavolo di Palazzo Chigi arrivi una proposta condivisa il più possibile. Una prova non facile vista la spaccatura anche nel Governo. La proposta (dad per i non vaccinati in caso di due positivi in aula), emersa dall’incontro dei giorni scorsi tra il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga e i ministri dell’Istruzione e della Salute Patrizio Bianchi e Roberto Speranza, è rimasta a galla ma ha le ore contate. Alla fine a sostenere l’ipotesi avanzata dal friulano, non è rimasto nessuno: persino fonti vicino al governatore leghista ci tengono a dire che l’idea era solo uscita dalla commissione Salute della Conferenza che proprio stamattina tornerà a riunirsi prima della riunione dei presidenti prevista nel pomeriggio.
A tirar fuori dal cilindro una nuova soluzione è il numero uno del Veneto Luca Zaia che ha annunciato: “Porteremo una proposta al Tavolo nazionale delle Regioni che modifica le regole rispetto alla durata delle quarantene e di chi dovrà farle, rispetto alla situazione vaccinale”. Naufragata l’idea di mettere in dad chi non è vaccinato, l’intenzione è proprio quella di eliminare la distinzione tra coloro che sono immunizzati e non, nel caso di più contagi in una classe. Il nuovo punto di confronto dovrebbe riguardare la definizione di un numero minimo di contagi in classe, che permetta indistintamente a tutti gli alunni di andare in dad. Le Regioni starebbero ragionando su una possibile distinzione tra le diverse scuole, infanzia, primaria e secondaria e su differenti soglie relative al numero di casi che farebbero scattare una quarantena per l’intera classe. Numeri che sarebbero contenuti nella scuola dell’infanzia, per crescere fino a un numero minimo di tre–cinque casi per le medie e superiori.
Non solo. Zaia propone di consegnare agli studenti kit per il test fai da te da eseguire in classe con compagni e insegnanti. Una retromarcia necessaria dopo gli attacchi arrivati alla prima proposta avanzata dalle Regioni, da tutta la maggioranza e non solo. I primi due ad avvertire il ministro ferrarese a non prendere quella strada sono stati i suoi sottosegretari Barbara Floridia (M5Stelle) e Rossano Sasso (Lega) che all’unisono hanno precisato: “Non si può pensare di discriminare i bambini, prevedendo per alcuni la dad e per altri la frequenza in presenza”. A loro si sono uniti i deputati “5Stelle” della commissione Istruzione della Camera ma anche Rosa Maria Di Giorgi e Roberto Rampi, capigruppo (Pd) della medesima commissione rispettivamente di Montecitorio e Palazzo Madama. A criticare l’ipotesi di dad per i non vaccinati sono stati anche i dirigenti scolastici e i sindacati. Il numero uno dell’Associazione nazionale presidi di Roma, Mario Rusconi, ha spiegato: “Immaginate in una classe di scuola primaria dove il tasso di vaccinazione è piuttosto basso per vari motivi, noi avremmo di 25 bambini 20 che stanno a casa con la dad e 5 che stanno in classe. Si perpetuerebbe questa frattura molto forte a livello formativo che secondo noi andrebbe evitata ad ogni costo”.
Proprio stamattina, dopo lo strappo delle scorse settimane tra il ministro Bianchi e i confederali (Cisl Scuola a parte), torneranno ad incontrarsi e tra le questioni ci sarà anche il tema del rientro in aula di gennaio. Intanto ad aver fatto un passo avanti è il presidente dell’Abruzzo che il 31 dicembre ha firmato un’ordinanza per sospendere l’attività didattica il 7 e l’8 per permettere uno screening messo in atto con la struttura commissariale: giornate di scuola che saranno recuperate il 1 marzo, quando al posto di festeggiare Carnevale i bambini e i ragazzi andranno a scuola. Una scelta che in giornata potrebbe essere condivisa dalla Calabria e dalla Sardegna che hanno già sul tavolo l’ordinanza per riaprire qualche giorno più tardi.