A seguito dell’interrogatorio dinanzi al gip Margherita Grippo, revocata la misura nei confronti della donna: “in considerazione dello stato di incensuratezza dell'indagata e del comportamento processuale della stessa” non erano “più sussistenti” le esigenze cautelari. Confermate le ipotesi dei pm. Ma per il quotidiano di via Solferino il caso è "classico della giustizia italiana", ovvero che "paga chi non c'entra niente"
“Foggia, cade l’accusa di caporalato. Torna libera la moglie del prefetto”. È il titolo di un articolo pubblicato nell’edizione odierna del Corriere della Sera. Il titolo contiene una verità e una bugia: è vero che Rosalba Livrerio Bisceglia non è più sottoposta all’obbligo di dimora, è falso che siano cadute le accuse nei suoi confronti. Anzi. Scrive il gip: “Il quadro indiziario non risulta mutato ed anzi per certi versi può ritenersi confermato“. Un errore, quello del quotidiano di Via Solferino, che ha provocato la dura reazione della Procura di Foggia, che in un comunicato ha voluto chiarire i dettagli della vicenda e difendere l’operato degli inquirenti, rimarcando che “la revoca delle misure è avvenuta non per il venir meno del quadro indiziario, ma per la cessazione delle esigenze cautelari”.
Per averne conferma, del resto, basta leggere quanto scritto dal gip in merito alla posizione dell’imprenditrice foggiana coinvolta nell’inchiesta anticaporalato e moglie del prefetto Michele Di Bari, capo del Dipartimento immigrazione del Viminale, che subito dopo la misura cautelare nei confronti della moglie ha rassegnato le sue dimissioni. A seguito dell’interrogatorio dinanzi al giudice Margherita Grippo, il magistrato ha revocato la misura, specificando che “in considerazione dello stato di incensuratezza dell’indagata e del comportamento processuale della stessa” non erano “più sussistenti” le esigenze cautelari, ma sottolineando che le ipotesi dell’accusa erano sostanzialmente confermate. Rosalba Livrerio Bisceglia dovrà quindi ancora difendersi dall’imputazione di caporalato, cioè di aver utilizzato nella propria azienda agricola forza lavoro procurata in modo illecito da un intermediario, il 33enne gambiano Bakary Saidy finito in carcere durante il blitz del 10 dicembre.
Per il Corriere, tuttavia, le accuse erano cadute, tanto che l’attacco del pezzo di Carlo Vulpio parla di “classico della giustizia italiana” e del fatto che “paga chi non c’entra niente”, il che ha provocato la replica della Procura di Foggia. Inoltre, il quotidiano di via Solferino ha raccontato della revoca della misura riportando stralci della nota diffusa dall’avvocato difensore Gianluca Ursitti. In particolare nel pezzo si evidenzia che le accuse nei confronti della donna avevano scatenato la bufera sul marito, per il ruolo da lui ricoperto alla guida del dipartimento Immigrazione e libertà civili del ministero dell’Interno: a causa dell’accusa di caporalato alla moglie, per il Corriere Di Bari era stato dipinto “come Dracula alla guida della Croce rossa”. A chiusura dell’articolo, inoltre, il Corriere – di fatto assolvendo anzitempo la donna senza nemmeno attendere la chiusura delle indagini preliminari – scrive che “è stato procurato un danno enorme a due persone, l’una accusata di reati infamanti e l’altra praticamente costretta a dimettersi per la carica pubblica ricoperta. Quando invece, dice sempre il difensore dell’imprenditrice, tutti i pagamenti ai braccianti – si legge ancora nelle ultime righe – sono avvenuti con bonifico e nel rispetto dei contratti di lavoro provinciale e nazionale. Domanda – ha concluso Vulpio – ma verificare tutto questo “prima”? No?’”.
La provocazione ha scatenato la reazione del procuratore di Foggia Ludovico Vaccaro che in un comunicato ha voluto chiarire i dettagli della vicenda e difendere l’operato degli inquirenti rimarcando che “la revoca delle misure è avvenuta non per il venir meno del quadro indiziario, ma per la cessazione delle esigenze cautelari”. Non un cavillo tecnico insomma: le accuse sulla Livrerio Bisceglia non sono state ridotte dai documenti depositati. Semplicemente non c’erano motivi per tenere ancora in piedi un obbligo di dimora. Nella nota alla stampa il procuratore Vaccaro ha infine chiarito che quella replica era necessaria “per l’interesse pubblico ad una informazione corretta, precisa, obiettiva dei cittadini in ordine ad una vicenda processuale che ha assunto una grande rilevanza mediatica”.