di Thomas Fazi (saggista, giornalista, traduttore e autore di documentari) e Sara Gandini (epidemiologa/biostatistica)
Il fatto che in Italia si torni a parlare come se nulla fosse di lockdown – o meglio, che le autorità si possano permettere di farlo senza ritrovarsi la gente in piazza coi forconi un attimo dopo – è la dimostrazione dell’assoluta mancanza di consapevolezza, a livello di percezione generale, di quanto siano stati fallimentari i lockdown passati. E non ci riferiamo alle loro devastanti conseguenze in termini economici, sociali o psicologici – ormai stranote –, ma al fatto che i lockdown degli ultimi due anni hanno clamorosamente fallito anche in base all’unico criterio che esiste per giustificarli: quello di “salvare vite”, ridurre la mortalità da Covid ed evitare la saturazione degli ospedali.
I numeri parlano chiaro. L’Italia ha avuto, per buona parte dell’ultimo anno e mezzo, il primato delle restrizioni più dure tra le democrazie occidentali: la media dello Stringency Index compilato dall’università di Oxford mette l’Italia al primo posto tra i paesi democratici occidentali. L’Italia ha anche avuto uno dei maggiori numeri di giorni in cui era in vigore il divieto di uscire di casa eccetto che per usufruire di pochi servizi essenziali. Infine, l’Italia ha anche vinto la triste gara di chi ha tenuto le scuole chiuse più a lungo, a parte qualche Stato americano.
Insomma, siamo stati i più lockdownisti di tutti. Il concetto di lockdown nazionale, dopotutto, l’abbiamo inventato noi: prima che lo adottassimo non era mai stato preso in considerazione in nessuno dei piani pandemici esistenti fino a quel momento a livello mondiale. Peccato che allo stesso tempo l’Italia abbia anche uno dei record peggiori in termini di morti pro capite tra tutti i paesi occidentali – ben al di sopra di Regno Unito, Spagna, Francia, Germania, Svezia e di molti altri paesi che hanno seguito misure molto meno restrittive. E c’è ancora chi ha il coraggio di parlare di “modello Italia”.
Ora, la vulgata (alimentata da governo e media) vuole che questo sia avvenuto nonostante il lockdown – e che senza di esso le cose sarebbero andate senz’altro peggio. In realtà vi sono buone ragioni per credere che il pessimo risultato dell’Italia in termini di morti sia stata anche una conseguenza del lockdown.
Come spiegano molto bene Piero Stanig e Gianmarco Daniele, due professori dell’Università Bocconi, nel loro ottimo libro Fallimento lockdown, se hai a che fare con un virus altamente infettivo, che si diffonde soprattutto al chiuso (come la maggior parte dei virus) e che prende di mira quasi esclusivamente gli anziani, la cosa peggiore che puoi fare è rinchiudere gli anziani dentro casa con altri membri della loro famiglia e allo stesso tempo vietare per legge a quegli stessi anziani – e al resto della popolazione – di stare nel luogo in assoluto più sicuro di tutti: all’aperto (dove in pratica non ci si contagia, come già sostenevano in tanti all’inizio della pandemia).
Purtroppo questo è esattamente quello che è successo quando, in seguito all’annuncio del lockdown e della chiusura delle scuole, migliaia di famiglie si sono trasferite dai nonni per assisterli ma anche per farsi aiutare da loro nella cura dei bambini (visto che molte persone continuavano a lavorare in smart). Come scrivono Stanig e Daniele: “Si può legittimamente speculare (anche alla luce della ricerca medica sul contagio in famiglia) che in certa misura il lockdown, combinato con la chiusura delle scuole, abbia contribuito allo sviluppo dell’epidemia invece di rallentarlo”.
Si potrebbe pensare che l’Italia rappresenti un’eccezione da questo punto di vista, e che in altri paesi i lockdown abbiano funzionato meglio, ma non è così. Esistono ormai numerosi studi che dimostrano l’inefficacia, se non addirittura la pericolosità, dei lockdown (vedi, per esempio, qui, qui, qui, qui e qui).
Non a caso – lo ripetiamo – la quarantena dell’intera popolazione (il cosiddetto “lockdown”) è un concetto che non esiste in alcun piano pandemico pre-2020 – né in Italia, né altrove. Anzi, la pressoché totalità di quei piani prende atto dell’inutilità, se non addirittura della pericolosità, delle misure di quarantena, anche solo per i contagiati.
Il documento sulle “Non-Pharmaceutical Interventions” in caso di pandemia preparato dall’OMS nel 2019, per esempio, dichiarava testualmente che “la quarantena a casa degli individui esposti allo scopo di ridurre la trasmissione non è raccomandata perché non c’è alcuna logica evidente per questa misura, e ci sarebbero considerevoli difficoltà a implementarla”. Come spiega Jay Bhattacharya, professore di medicina dell’università di Stanford: “Quasi tutti [i piani pandemici pre-Covid] sottolineavano l’importanza di rispettare i diritti civili, di sconvolgere le società il meno possibile, di proteggere le persone vulnerabili e di non diffondere il panico. I lockdown e la narrazione dei media e dei governi a partire dai primi mesi del 2020 hanno violato tutti questi principi”.
Le alternative, insomma, esistevano, e suggerivano di fare una cosa piuttosto ovvia: individuare quali fossero le categorie più esposte e dare la priorità a ridurre il rischio per queste persone. E che la categoria più esposta al Covid siano gli anziani (così come che il tasso di mortalità sotto i 60 anni sia vicino allo zero) lo sappiamo fin dall’inizio della pandemia.
E allora perché non è stato fatto nulla per proteggere veramente gli anziani? Perché non è stata presa minimamente in considerazione la strategia di “protezione focalizzata” proposta da Martin Kulldorff, biostatistico ed epidemiologo a Harvard, Sunetra Gupta, epidemiologa a Oxford, e dal succitato Jay Bhattacharya, autori della Great Barrington Declaration, in cui si invitava a “permettere a quelli che sono a minimo rischio di vivere le proprie vite normalmente per acquisire immunità al virus attraverso infezione naturale, al tempo stesso proteggendo quelli che sono ad alto rischio”?
Una strategia di questo tipo avrebbe verosimilmente evitato decine di migliaia di morti. Soprattutto se consideriamo l’enorme numero di morti registrati nelle Rsa (soprattutto nei paesi che si sono concentrati sui lockdown di massa), che secondo uno studio rappresenterebbero addirittura il 40 per cento circa di tutti morti di Covid nei paesi occidentali. Insomma, mentre il governo inseguiva i runner sulle spiagge e ispezionava le buste della spesa fuori dai supermercati, le persone più vulnerabili in assoluto – gli anziani nelle case di riposo – sono state abbandonate al loro tragico destino.
E anche per gli anziani non ricoverati erano ipotizzabili soluzioni “focalizzate” alternative, come notano Stanig e Daniele: riservare delle fasce orarie per gli acquisti di generi alimentari per i gruppi d’età più a rischio; organizzare consegne a domicilio per gli anziani; raccomandare specialmente agli anziani di evitare luoghi affollati al chiuso e di limitare i propri spostamenti con i mezzi pubblici. O magari addirittura incentivare una parte degli anziani autosufficienti, invece che a stare in casa a guardare i nipotini, ad andarsene, anche a costo zero, in un villaggio vacanze in una regione con clima mite. Misure costose e logisticamente complesse, ma non certo più costose di bloccare un intero paese.
Invece si è scelta la via più facile e più dannosa in assoluto, in termini economici, sociali, politici, psicologici e anche, come abbiamo visto, sanitari: il lockdown. Il fatto che ancora oggi ci sia chi contempla questa soluzione è la dimostrazione che non abbiamo imparato nulla dall’esperienza degli ultimi due anni.
Sara Gandini
Epidemiologa e docente
Scienza - 5 Gennaio 2022
Le alternative al lockdown esistevano, ma si è optato per la strada peggiore
di Thomas Fazi (saggista, giornalista, traduttore e autore di documentari) e Sara Gandini (epidemiologa/biostatistica)
Il fatto che in Italia si torni a parlare come se nulla fosse di lockdown – o meglio, che le autorità si possano permettere di farlo senza ritrovarsi la gente in piazza coi forconi un attimo dopo – è la dimostrazione dell’assoluta mancanza di consapevolezza, a livello di percezione generale, di quanto siano stati fallimentari i lockdown passati. E non ci riferiamo alle loro devastanti conseguenze in termini economici, sociali o psicologici – ormai stranote –, ma al fatto che i lockdown degli ultimi due anni hanno clamorosamente fallito anche in base all’unico criterio che esiste per giustificarli: quello di “salvare vite”, ridurre la mortalità da Covid ed evitare la saturazione degli ospedali.
I numeri parlano chiaro. L’Italia ha avuto, per buona parte dell’ultimo anno e mezzo, il primato delle restrizioni più dure tra le democrazie occidentali: la media dello Stringency Index compilato dall’università di Oxford mette l’Italia al primo posto tra i paesi democratici occidentali. L’Italia ha anche avuto uno dei maggiori numeri di giorni in cui era in vigore il divieto di uscire di casa eccetto che per usufruire di pochi servizi essenziali. Infine, l’Italia ha anche vinto la triste gara di chi ha tenuto le scuole chiuse più a lungo, a parte qualche Stato americano.
Insomma, siamo stati i più lockdownisti di tutti. Il concetto di lockdown nazionale, dopotutto, l’abbiamo inventato noi: prima che lo adottassimo non era mai stato preso in considerazione in nessuno dei piani pandemici esistenti fino a quel momento a livello mondiale. Peccato che allo stesso tempo l’Italia abbia anche uno dei record peggiori in termini di morti pro capite tra tutti i paesi occidentali – ben al di sopra di Regno Unito, Spagna, Francia, Germania, Svezia e di molti altri paesi che hanno seguito misure molto meno restrittive. E c’è ancora chi ha il coraggio di parlare di “modello Italia”.
Ora, la vulgata (alimentata da governo e media) vuole che questo sia avvenuto nonostante il lockdown – e che senza di esso le cose sarebbero andate senz’altro peggio. In realtà vi sono buone ragioni per credere che il pessimo risultato dell’Italia in termini di morti sia stata anche una conseguenza del lockdown.
Come spiegano molto bene Piero Stanig e Gianmarco Daniele, due professori dell’Università Bocconi, nel loro ottimo libro Fallimento lockdown, se hai a che fare con un virus altamente infettivo, che si diffonde soprattutto al chiuso (come la maggior parte dei virus) e che prende di mira quasi esclusivamente gli anziani, la cosa peggiore che puoi fare è rinchiudere gli anziani dentro casa con altri membri della loro famiglia e allo stesso tempo vietare per legge a quegli stessi anziani – e al resto della popolazione – di stare nel luogo in assoluto più sicuro di tutti: all’aperto (dove in pratica non ci si contagia, come già sostenevano in tanti all’inizio della pandemia).
Purtroppo questo è esattamente quello che è successo quando, in seguito all’annuncio del lockdown e della chiusura delle scuole, migliaia di famiglie si sono trasferite dai nonni per assisterli ma anche per farsi aiutare da loro nella cura dei bambini (visto che molte persone continuavano a lavorare in smart). Come scrivono Stanig e Daniele: “Si può legittimamente speculare (anche alla luce della ricerca medica sul contagio in famiglia) che in certa misura il lockdown, combinato con la chiusura delle scuole, abbia contribuito allo sviluppo dell’epidemia invece di rallentarlo”.
Si potrebbe pensare che l’Italia rappresenti un’eccezione da questo punto di vista, e che in altri paesi i lockdown abbiano funzionato meglio, ma non è così. Esistono ormai numerosi studi che dimostrano l’inefficacia, se non addirittura la pericolosità, dei lockdown (vedi, per esempio, qui, qui, qui, qui e qui).
Non a caso – lo ripetiamo – la quarantena dell’intera popolazione (il cosiddetto “lockdown”) è un concetto che non esiste in alcun piano pandemico pre-2020 – né in Italia, né altrove. Anzi, la pressoché totalità di quei piani prende atto dell’inutilità, se non addirittura della pericolosità, delle misure di quarantena, anche solo per i contagiati.
Il documento sulle “Non-Pharmaceutical Interventions” in caso di pandemia preparato dall’OMS nel 2019, per esempio, dichiarava testualmente che “la quarantena a casa degli individui esposti allo scopo di ridurre la trasmissione non è raccomandata perché non c’è alcuna logica evidente per questa misura, e ci sarebbero considerevoli difficoltà a implementarla”. Come spiega Jay Bhattacharya, professore di medicina dell’università di Stanford: “Quasi tutti [i piani pandemici pre-Covid] sottolineavano l’importanza di rispettare i diritti civili, di sconvolgere le società il meno possibile, di proteggere le persone vulnerabili e di non diffondere il panico. I lockdown e la narrazione dei media e dei governi a partire dai primi mesi del 2020 hanno violato tutti questi principi”.
Le alternative, insomma, esistevano, e suggerivano di fare una cosa piuttosto ovvia: individuare quali fossero le categorie più esposte e dare la priorità a ridurre il rischio per queste persone. E che la categoria più esposta al Covid siano gli anziani (così come che il tasso di mortalità sotto i 60 anni sia vicino allo zero) lo sappiamo fin dall’inizio della pandemia.
E allora perché non è stato fatto nulla per proteggere veramente gli anziani? Perché non è stata presa minimamente in considerazione la strategia di “protezione focalizzata” proposta da Martin Kulldorff, biostatistico ed epidemiologo a Harvard, Sunetra Gupta, epidemiologa a Oxford, e dal succitato Jay Bhattacharya, autori della Great Barrington Declaration, in cui si invitava a “permettere a quelli che sono a minimo rischio di vivere le proprie vite normalmente per acquisire immunità al virus attraverso infezione naturale, al tempo stesso proteggendo quelli che sono ad alto rischio”?
Una strategia di questo tipo avrebbe verosimilmente evitato decine di migliaia di morti. Soprattutto se consideriamo l’enorme numero di morti registrati nelle Rsa (soprattutto nei paesi che si sono concentrati sui lockdown di massa), che secondo uno studio rappresenterebbero addirittura il 40 per cento circa di tutti morti di Covid nei paesi occidentali. Insomma, mentre il governo inseguiva i runner sulle spiagge e ispezionava le buste della spesa fuori dai supermercati, le persone più vulnerabili in assoluto – gli anziani nelle case di riposo – sono state abbandonate al loro tragico destino.
E anche per gli anziani non ricoverati erano ipotizzabili soluzioni “focalizzate” alternative, come notano Stanig e Daniele: riservare delle fasce orarie per gli acquisti di generi alimentari per i gruppi d’età più a rischio; organizzare consegne a domicilio per gli anziani; raccomandare specialmente agli anziani di evitare luoghi affollati al chiuso e di limitare i propri spostamenti con i mezzi pubblici. O magari addirittura incentivare una parte degli anziani autosufficienti, invece che a stare in casa a guardare i nipotini, ad andarsene, anche a costo zero, in un villaggio vacanze in una regione con clima mite. Misure costose e logisticamente complesse, ma non certo più costose di bloccare un intero paese.
Invece si è scelta la via più facile e più dannosa in assoluto, in termini economici, sociali, politici, psicologici e anche, come abbiamo visto, sanitari: il lockdown. Il fatto che ancora oggi ci sia chi contempla questa soluzione è la dimostrazione che non abbiamo imparato nulla dall’esperienza degli ultimi due anni.
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Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "Le persone vogliono sentirsi sicure nelle loro città, nelle loro case. Ma l'approccio della destra è sbagliato perchè non basta rafforzare i presidi delle forze dell'ordine, che neanche fanno perchè non ci mettono soldi e mandano poliziotti a fare la guardia ai centri migranti vuoti in Albania, servono presidi sociali e educativi e anche la questione del cambiamenti climatico è una questione di sicurezza". Lo dice Elly Schlein all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato.
Milano, 22 gen. (Adnkronos) - "Come ogni anno, Samsung presenta il nuovo flagship: Samsung Galaxy S25. Lo scorso anno, con Galaxy S24, abbiamo introdotto per la prima volta l’intelligenza artificiale sugli smartphone e quest’anno, con la nuova serie, facciamo un ulteriore balzo in avanti, riuscendo a dare all’intelligenza artificiale una connotazione ancora più fluida, semplice e, direi, conversazionale”. Lo spiega ai microfoni dell’Adnkronos Nicolò Bellorini Vice President Mobile eXperience division di Samsung Electronics Italia, in occasione di Samsung Galaxy Unpacked 2025, l’evento con cui l’azienda sudcoreana presenta la nuova serie di smartphone Samsung Galaxy.
Questa rivoluzione nel mondo degli smartphone AI è resa possibile da diverse innovazioni, la multimodalità in primis, come sottolinea Bellorini: “Samsung Galaxy S25 è in grado di capire perfettamente il contesto nel quale avvengono le richieste, perché comprende voce, video, suoni, testi, file Pdf e qualunque altra cosa. La seconda innovazione importante è la potenza degli agenti AI, che consente a S25 di performare task complessi, che possono andare anche da un’app all’altra”.
I più recenti top di gamma di Samsung portano infatti le capacità di Galaxy AI a un livello superiore, con un’elaborazione AI avanzata direttamente sul dispositivo, migliorando ulteriormente il comparto fotografico leader del settore Galaxy grazie a ProVisual Engine di nuova generazione e offrendo prestazioni eccezionali grazie al processore Qualcomm Snapdragon 8 Elite per Galaxy.
La nuova serie Galaxy S25 stabilisce così un nuovo standard per l’AI mobile, garantendo l’esperienza mobile più naturale e consapevole mai raggiunta, e rappresenta il primo passo nella visione di Samsung di cambiare il modo in cui gli utenti interagiscono con i loro smartphone e con il mondo che li circonda.
“Come l’anno scorso, sono tre i modelli disponibili, Galaxy S25 Ultra, Galaxy S25+ e Galaxy S25, con vari tagli di memoria - conclude il Vice President Mobile eXperience division di Samsung Electronics Italia - da 128Gb fino 1Tb, tutti con 12Gb di Ram”.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "Quale è la visione del governo Meloni di fronti ai cambiamenti climatici? E' semplice, basta fare così". Lo dice Elly Schlein tappandosi gli occhi all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato. "Come facevamo da bambini, quando c'era qualcosa che ci faceva paura. Ma il prezzo della non conversione, del non affrontare i cambiamenti climatici è molto più costoso che farlo".
"Quanta competitività perdono le aziende italiane rispetto" ad altri Paesi dove si investe in rinnovabili? Ma "il governo non se ne occupa. Questi sono invece gli obiettivi che ci stiamo dando in vista della Cop 30" in Brasile.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "La Lega di Matteo Salvini non perde tempo e scavalca a destra Giorgia Meloni, sempre più legata all'internazionale nera, annunciando la decisione di aprire il dibattito per dire stop all'adesione dell'Italia dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Questa posizione, ispirata all'analogo passo compiuto ieri da Donald Trump, rappresenterebbe un grave segnale di isolamento dell'Italia a livello internazionale e dai principali organismi impegnati nella tutela della salute globale". Così Angelo Bonelli co-portavoce di Europa Verde e parlamentare di Avs.
"L'Oms non è solo un'istituzione scientifica di riferimento, ma un baluardo nella lotta contro pandemie, malattie croniche e disuguaglianze sanitarie in Africa e nei Paesi più poveri. Quando, a metà del XIX secolo, la peste, il colera e la febbre gialla hanno scatenato ondate mortali in un mondo appena industrializzato e interconnesso, l’adozione di un approccio globale alla salute è diventata un imperativo. Medici, scienziati, presidenti e primi ministri convocarono con urgenza la Conferenza Sanitaria Internazionale di Parigi nel 1851, un precursore di quella che oggi è la più grande del suo genere: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nota come Oms. In mezzo alle crisi, ai conflitti, alla continua minaccia di epidemie e ai cambiamenti climatici, l’Oms ha reagito: dalle guerre a Gaza, in Sudan e in Ucraina fino a garantire l’arrivo di vaccini e forniture mediche salvavita in aree remote o pericolose, svolgendo un ruolo fondamentale di indirizzo nel rispondere all'emergenza Covid-19".
"La Lega dimostra ancora una volta un approccio irresponsabile, che antepone logiche ideologiche e sovraniste al benessere dei cittadini. Interrompere la nostra adesione all'Oms significa rinunciare a strumenti essenziali di coordinamento globale, scambio di conoscenze e accesso a risorse indispensabili per affrontare emergenze sanitarie. Andrebbero ignorati: ma siccome governano il Paese è bene sapere cosa pensano di questa folle proposta il Ministro della salute Schillaci, la premier Giorgia Meloni e la maggioranza di destra che sostiene il suo governo" conclude Bonelli.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - L'Istituto per il Credito Sportivo e Culturale ('Icsc') torna per la seconda volta sul mercato delle emissioni Esg portando a termine con straordinario successo il collocamento di un prestito obbligazionario Social unsecured senior preferred dedicato al supporto di investimenti ad elevato impatto nei settori Sport e Cultura, riservato agli investitori istituzionali.
L’operazione ha registrato ordini complessivi per circa 2 miliardi di euro, pari a oltre 6 volte l’offerta iniziale. L’emissione ha visto la partecipazione di un’ampia platea di sottoscrittori nazionali ed esteri per il 45%, in particolare Germania/Austria (24%), a dimostrazione del crescente interesse degli investitori per il settore delle infrastrutture sociali in Italia.
Il prestito obbligazionario, con scadenza a cinque anni e cedola a tasso fisso annua del 3,50%, costituisce la prima emissione a valere sul programma Emtn (Euro Medium Term Note) da 1 miliardo di euro pubblicato il 19 dicembre 2024, la seconda per Icsc dopo l’emissione stand alone del 2022. Il rating del Social Bond è stimato in linea con quelli assegnati alla Banca dalle agenzie S&P e DBRS, rispettivamente pari a BBB- (Stable) e BBB (Positive).
I proventi dell’emissione saranno utilizzati per sostenere investimenti ad elevato impatto sociale nei settori Sport e Cultura, in linea con la missione dell’Istituto e gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
“L’emissione del nuovo Social Bond riflette il crescente impegno di Icsc sul fronte della finanza sostenibile, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo dei settori Sport e Cultura. La straordinaria domanda da parte degli investitori istituzionali conferma la fiducia dei mercati nei confronti di Icsc, riconoscendone la consolidata capacità di mobilitare capitali a lungo termine secondo principi di sostenibilità, responsabilità e inclusione sociale, equità intergenerazionale. Lo Sport e la Cultura rappresentano in misura crescente asset class in grado di generare significative opportunità di investimento a impatto, creando valore economico e sociale, reale e duraturo per il Paese", ha commentato l’Amministratore Delegato Antonella Baldino.
Il bond, ammesso alla negoziazione presso il mercato regolamentato della Borsa del Lussemburgo, è stato emesso a valere sul Social Bond Framework di Icsc, pubblicato nel luglio 2022, che ha ottenuto una favorevole Second Party Opinion rilasciata da Iss Corporate Solutions, confermando l’allineamento agli Icma Principles e la robustezza degli Eligibility Criteria.
Imi-Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Santander e Morgan Stanley hanno agito in qualità di Joint Lead Managers del collocamento.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "Mi ha molto colpito la fila di multimiliardari" all'Inauguration Day. "E' un'idea di società opposta alla nostra, una società in cui sono i ricchi a scrivere le leggi per tutti gli altri e a scegliere i giudici che le facciano rispettare. E anche da queste parti non ce la passiamo troppo bene". Lo dice Elly Schlein all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato.
Roma, 22 gen. (Adnkronos) - "La politica sta facendo abbastanza sul cambiamento climatico? No. E noi come prima forza di opposizione del Paese abbiamo una responsabilità di un governo che nega l'emergenza e ci riporta indietro. Mentre occorre rendere transizione ecologica conveniente ma le politiche di questo Paese non hanno mai accompagnato questa innovazione". Lo dice Elly Schlein all'evento 'Chi non si ferma é perduto' sui cambiamenti climatici, organizzato dai senatori Pd in collaborazione con Deputati Pd e Fondazione Demo, alla Sala Koch al Senato.
"Troppe esitazioni e ritardi. Confidiamo nella leadership di Lula che ha organizzato la prossima Cop a Belem, nel cuore dell'Amazzonia" dopo "l'esito insoddisfacente della Cop 20 a Baku. Dobbiamo evitare che tra le tante ricadute nefaste dell'elezione di Trump ci sia un massiccio disimpegno degli Stati Uniti" nelle politiche per il clima. "Abbiamo sentito il suo discorso di insediamento grondante di slogan della campagna elettorale. Il pianeta non si può permettere 5 anni di Trump con queste premesse. E' vero è stato democraticamente eletto, ma c'è chi non ha potuto votare: la nuove generazioni che ci chiederanno il conto".
"A questo nuovo indirizzo dell'amministrazione americana è necessaria una risposta altrettanto forte dell'Europa, è necessario un protagonismo dell'Ue ma non è l'aria che tira a Bruxelles e questo come Pd ci preoccupa moltissimo".