Gli imprenditori si lamentano di non essere stati consultati nell'accordo tra governo e le farmacia. E avvisano: "Ci saranno delocalizzazioni e carenze di dispositivi". Ma il prezzo di 0,75 euro è superiore a quello di mercato. Intanto il "pensatoio" iper liberista vede disastri all'orizzonte se i governi continueranno lungo questa strada
Guai a toccare gli extra profitti favoriti dall’emergenza pandemia. “Il prezzo calmierato delle Ffp2 a 0,75 centesimi è una decisione presa senza consultare le aziende che producono questi dispositivi”, tuona oggi in una notta Claudio Galbiati, presidente della sezione Safety di Assosistema Confindustria che rappresenta i produttori e distributori dei Dispositivi di protezione individuali (Dpi). La nota è stata inoltrata sia alla struttura commissariale che al ministero dello Sviluppo Economico. “Sarebbe auspicabile – osserva Galbiati – aprire un tavolo presso il ministero dello Sviluppo economico e ragionare su come supportare le farmacie nella vendita di Ffp2 a prezzo calmierato preferendo un prodotto italiano rispetto ad uno importato per il 90% dalla Cina”.
Confindustria dimentica che i 75 centesimi sono un prezzo di mercato, che garantisce guadagni in rapporto ai costi di produzione. Nessun calmieramento insomma, le imprese fanno comunque profitti. Alcune catene della grande distribuzione hanno già annunciato che venderanno le Ffp2 a 50 centesimi. Il fatto che le mascherine Ffp2 siano state rese obbligatorie per tutti su mezzi pubblici e altri spazi assicura un boom di vendite e di ricavi. Nessuna alterazione dei “sacri” meccanismi del mercato. Semplicemente si cerca di scongiurare atteggiamenti eccessivamente speculativi che nelle ultime settimane non sono mancati. La decisone sul prezzo non è peraltro un diktat me è il frutto di un accordo tra governo e Federfarma, AssoFarm e FarmacieUnite , l’associazioni che raggruppano le farmacie italiane.
E infatti Galbiati concede: “”Seppur condivisibile l’intento di intervenire sul prezzo ed evitare la speculazione – continua Galbiati – non condividiamo, tuttavia, l’estromissione dalla discussione proprio dei produttori delle Ffp2. Continuando così, le aziende porteranno nuovamente la produzione fuori del territorio italiano e ci ritroveremo nuovamente sprovvisti di facciali filtranti e senza scorte”. Da tempo la minaccia di delocalizzazione e apocalissi varie è peraltro il leit motiv dell’imprenditoria per la quale, a quanto pare, il mercato funziona a giorni alterni.
Una polemica analoga era scoppiata nell’aprile 2020 dopo che l’allora commissario Domenico Arcuri aveva fissato a 50 centesimi il prezzo massimo per le mascherine chirurgiche. Non esattamente una mannaia visto che oggi si trovano in vendita scatole da 50 pezzi a meno di 6 euro. Anche allora fioccarono le proteste perché, scriveva ad esempio il quotidiano Il Foglio “l ’imposizione dei 50 centesimi rischia di estromettere dal mercato una fetta di piccoli volenterosi a vantaggio dei grandi gruppi”. Anche qui non si capisce più se il mercato va preso per intero o piccole dosi. In effetti nel business delle mascherine si sono buttati anche grandi gruppi come Stellantis a dire il vero con risultati non particolarmente felici.
Sta di fatto che il Sole 24 Ore riportava la testimonianza di una produttrice di questo tenore: “50 centesimi è un prezzo fuori mercato per chi realizza mascherine “cucite”, di maggiore qualità rispetto a quelle stampate”. E via previsioni di carenze generalizzate del dispositivo che oggi si trova in vendita praticamente ad ogni angolo di strada. Una difficoltà di reperimento si era sì verificata nelle prime fasi della pandemia, quando le mascherine venivano via via rese obbligatorie. Maggio 2020 è stato probabilmente il mese più problematico ma, come spiegava la stessa Federfarma, più per ragioni burocratiche e di certificazione che per altro. La vendita di mascherine nelle farmacie ha toccato il suo picco nelle prime due settimane di aprile, poi, secondo i dati di Federfarma è scesa approcciandosi all’estate, perché i consumatori ne avevano fatto scorta e per “l’aumento delle vendite fuori dalle farmacie”. Non pare insomma che il limite di prezzo abbia dissuaso i produttori.
La logica dei difensori del libero prezzo (ma solo per i produttori italiani) è semplice. Prezzi più alti attirano nuovi produttori che aumentano l’offerta del prodotto il cui prezzo finisce così per diminuire. Ma in situazioni eccezionali come quella attuale, con una variante che si propaga alla velocità della luce, è meglio oliare un po’ questo meccanismo che a volte pure si inceppa. Non è un caso che in situazioni d’emergenza come i conflitti (in una qualche misura paragonabile a quella odierna) i governi non si siano mai affidati al libero mercato per assicurarsi in tempi ragionevoli quello di cui avevano bisogno. E, anche in queste circostanze, i profitti per i produttori non sono mai mancati.
Puntuale come le tasse (vade retro Satana!) arriva anche la sentenza dell’Istituto Bruno Leoni: “No, il calmiere ai prezzi non funzionerà neanche nel 2022″. Il “pensatoio”, turbo liberista quando serve un po’ meno quando ci sono di mezzo i potentati economici del paese, ci spiega che il provvedimento non servirà a niente. Perché il mercato appunto vede e provvede, basta lasciarlo fare. L’Ibl, che giù si è battuto in passato contro i vincoli sul possesso di armi (“Una società armata è una società libera”) o contro le campagne conto il fumo (“Troppi limiti favoriscono il contrabbando”) definisce “molto preoccupante” la deriva che sta coinvolgendo governi di tutto il mondo, compreso quello italiano. Fa poi uno strano accostamento sui modi sbagliati per contenere l’inflazione, che non c’entra nulla con il provvedimento in questione, e rievoca il precedente del governo Conte 2 che fissò un limite di 50 centesimi ottenendo, secondo l’Ibl, un effetto opposto a quello sperato. Su cosi si basi questa affermazione non è dato sapere.