"Le frasi proferite dall'indagato, sui propri profili personali Twitter, Facebook e nella scrittura degli articoli, si connotano per il loro inserimento in un contesto di repliche continue, e vicendevoli attacchi" scrive il giudice nel provvedimento
Uno scontro duro, a tratti dai toni corrosivi, ma nessuna diffamazione. È in sintesi la motivazione con cui il giudice per le indagini preliminari di Milano, Tiziana Gueli, ha archiviato la querela per diffamazione nei confronti di Andrea Scanzi presentata da Vittorio Feltri. Il botta e risposta sui social è storia che va avanti da almeno tre anni. Per alcuni episodi – 2018 e 2019 – la querela è risultata tardiva e quindi non si poteva procedere per tutti gli altri non c’è stato reato: “In primo luogo deve segnalarsi come le frasi proferite dall’indagato, nessuna esclusa, rientrino astrattamente in una sferzante critica, nei confronti della persona offesa, veicolata attraverso il linguaggio iperbolico e inverosimile proprio della satira. Trattandosi, proprio in quanto satiriche, di espressioni simboliche e paradossali, esse si atteggiano in un’ottica di incompatibilità con il requisito della cosiddetta ‘verità’ del fatto, non sottraendosi, però, al rispetto del limite della ‘continenza’ – scrive il magistrato – Tale limite si intende rispettato qualora tali asserzioni (per quanto intense) non siano “gratuite”, bensì funzionali ad esprimere un’ottica di disapprovazione o di dissacrazione del soggetto colpito. In altri termini, anche in caso siffatto non potrà ritenersi scriminata la condotta di chi indugi in insulti gratuiti, con il solo e precipuo scopo di esporre la persona attaccata al disprezzo e al pubblico ludibrio”.
Il giudice sottolinea anche come si sia trattato di confronto continuo: “Le frasi proferite dall’indagato, sui propri profili personali Twitter, Facebook e nella scrittura
degli articoli, si connotano per il loro inserimento in un contesto di repliche continue, e vicendevoli attacchi, proprio con la persona offesa. Tale contesto di fondo (è bene precisare: usato tanto dall’indagato quanto dalla persona offesa) si denota per l’utilizzo di un registro lessicale continuamente proteso, a prescindere da ogni valutazione in ordine al tenore giornalistico dello stesso, ad accostamenti paradossali, al sarcasmo, alla caricatura e a continue parafrasi immaginifiche; trattasi, questa, di una tecnica tipicamente satirica e perciò (pur nel rispetto dei principi generali sopra richiamati, primo fra tutti la salvaguardia dei limiti fondamentali della persona umana e l’ assenza di gratuità delle espressioni rivolte) in sé lecita”