“L’idea di avere una didattica mista con ragazzi in presenza e altri a casa è delirante. Chi pensa che in questo modo nessuno perda giorni di scuola si sbaglia, perché chi segue le lezioni online con il professore in aula resta comunque indietro”. Il giorno dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri delle nuove misure per il rientro a scuola, l’idea che alle secondarie, con due positivi, la classe si divida con i non vaccinati in dad e gli altri in classe, è bocciata da professori, presidi ma anche dai maestri della scuola primaria che già l’hanno sperimentata.
Tutti, piuttosto di avere una situazione mista, preferiscono fare scuola con l’intera classe davanti al personal computer. La scelta del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e del premier Mario Draghi non piace per nulla e preoccupa gli addetti ai lavori. Elke Termini è insegnante di lettere alle medie Veneziano di Monreale, vicino a Palermo. È una di quelle professoresse che ha a che fare non solo con quelli da “dieci”, con i figli dell’avvocato e del medico ma anche con ragazzini che vivono in quartiere molto poveri: “Questa soluzione è pessima e le spiego subito il perché. Quando un insegnante è in aula, è obbligatoriamente concentrato sugli alunni che ha davanti a sé. Io mi alzo, cammino tra loro, colgo l’espressione dell’uno o dell’altro e mi rivolgo al singolo. Scrivo alla lavagna. La lezione è ritmica e con la didattica mista rischio di volgere le spalle a quelli a casa che non potranno mai essere coinvolti allo stesso modo”.
La docente siciliana non ha dubbi: “È meglio che il docente abbia tutti gli allievi sullo schermo. In quel caso la sua voce, il suo sguardo è unidirezionale”. La professoressa Termini ha una certezza: “Se si pensa che la lezione mista permetta a qualcuno di non restare indietro ci si sbaglia alla grande”. Stessa opinione arriva da Cecilia Alessandrini che è in cattedra al liceo Righi di Bologna dopo aver svolto molti anni alla secondaria di primo grado: “Se hai un solo alunno in didattica a distanza magari riesci anche a fare una lezione di qualità ma se diventano due o più è impossibile. Come si può pensare che un’ora di latino, con esercitazioni, possa essere fatta in contemporanea a chi è in aula e a chi segue davanti ad uno schermo?”. Non solo. Il problema è anche nella preparazione: “Noi insegnanti dobbiamo pensare a due modi diversi di fare scuola ma per fare ciò serve molto tempo, servono strumenti”.
Il pensiero della professoressa Alessandrini va anche ai casi più problematici: “Spesso abbiamo su 26 ragazzi, il 30% con disturbi nell’apprendimento. Per loro diventa tutto più difficile”. Chi l’ha già sperimentata lo scorso anno parla per esperienza. Luca Boni, trent’anni, maestro alla paritaria Redentoris Mater di Albenga non ha dubbi: “È assurdo che qualcuno abbia pensato ad una simile iniziativa. L’insegnante è un mediatore e lo può essere solo quando è presente in aula; coinvolgere alunni a casa e in presenza è un’impresa. Non dimentichiamoci che l’insegnamento è empatia, è relazione”. Boni pensa anche all’aspetto tecnologico: “Lo sappiamo come funziona la Rete nel nostro Paese e sappiamo anche che device abbiamo nella scuola pubblica”.
A dire la sua è anche Maria Paola Piacentini, insegnante alla primaria di Madignano, in provincia di Cremona: “I ragazzi di prima o seconda media devono avere comunque qualcuno che a casa li segue. Non possiamo pensare di lasciarli soli. L’abbiamo già visto alla primaria: i più piccoli vanno seguiti”. Infine un aspetto contrattuale: “E le ore in più che fanno i docenti per organizzare lezioni miste che fine fanno? Non le pagano. Recuperarle è impossibile. Tutto volontariato”.