Il monitoraggio della Fondazione critica l'approccio del governo ad Omicron e avvisa: "Si continua a inseguire il virus senza rendere noto alla popolazione qual è il piano B: ovvero quali sono le mosse successive per arginare l’ondata di contagi che rischia di portare al default dei servizi sanitari ospedalieri, nonché al lockdown di fatto del Paese"
I quattro decreti varati dal governo in poco più di un mese “non hanno determinato alcun rallentamento” nella crescita dei casi. E anche le nuove misure definite il 5 gennaio dal Consiglio dei ministri sono “il frutto di compromessi politici, piuttosto che di una coraggiosa strategia di contrasto alla pandemia”. La Fondazione Gimbe lancia l’allarme sulla ospedali, dove “sale la pressione” e sullo stallo della vaccinazione pediatrica, e allo stesso tempo boccia i tentativi di contrastare la variante Omicron da parte dell’esecutivo guidato da Mario Draghi.
Le scelte attuale finora, sostiene il presidente Nino Cartabellotta, “rappresentano un’ulteriore stratificazione di “pannicelli caldi” insufficienti e tardivi, privilegiando l’esasperazione della burocrazia per mettere tutti d’accordo e scommettendo per l’ennesima volta sulla resilienza di ospedali e professionisti sanitari, già allo stremo”. Nello specifico, spiega Gimbe, l’obbligo vaccinale limitato agli over 50 (che al momento non prevede sanzioni) avrà “un impatto non prevedibile visto che non è noto il numero degli esentati” e il Super green pass per i lavoratori over 50 “sarà del tutto inefficace nel breve termine, perché entrerà in vigore il 15 febbraio”.
Non solo: “Le misure per la sicurezza nelle scuole sono insufficienti per evitare il ricorso alla didattica a distanza e introducono regole complesse e difficili da applicare con i servizi di sanità pubblica già in sovraccarico – continua Cartabellotta – Ancora lo smartworking viene liquidato con la semplice raccomandazione di ‘usare al meglio la flessibilità già consentita dalle regole vigenti'”. E ancora: “Si continua a inseguire il virus senza rendere noto alla popolazione qual è il piano B: ovvero quali sono le mosse successive per arginare l’ondata di contagi che rischia di portare al default dei servizi sanitari ospedalieri, nonché al lockdown di fatto del Paese”. Con gli attuali tempi di raddoppiamento dei contagi, dice ancora la Fondazione, “le decisioni politiche non possono più guardare l’andamento dei numeri, peraltro già ampiamente prevedibili, ma devono essere estremamente tempestive, molto più di quanto accaduto in passato”.
Anche perché “la progressiva espansione di una variante estremamente contagiosa, nonostante determini una malattia meno grave, nelle ultime settimane sta rapidamente sovraccaricando gli ospedali per tre ragioni”. Le ragioni, aggiunge Gimbe, sono da ricercare nell’”enorme numero di casi e la loro velocità di crescita”, in secondo luogo in una porzione ancora “troppo numerosa” di “popolazione suscettibile”, cioè non vaccinata o in attesa di terza dose, e infine nella capacità di “escape immunitario” di Omicron in grado di “infettare sia i guariti sia i vaccinati che hanno già ricevuto il richiamo”. In tutto questo, ad avviso della Fondazione, la “narrativa sulla ‘raffreddorizzazione’ della variante Omicron, peraltro da confermare con ulteriori studi sul campo, abbassa il livello di guardia della popolazione e sottovaluta che i servizi sanitari territoriali sono già in tilt e la saturazione degli ospedali è dietro l’angolo”.
Rispetto alla settimana precedente, nell’ultima i posti letto occupati da pazienti Covid sono aumentati del 28% in area medica e del 21,6% in terapia intensiva, spiega Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe. A livello nazionale, al 4 gennaio, il tasso di occupazione da parte di pazienti Covid è del 20,3% in area medica e del 15,1% in area critica. Ad eccezione di Molise, Sardegna e Puglia, tutte le Regioni superano la soglia del 15% in area medica, con la Valle d’Aosta che raggiunge il 47,5%. Per quanto riguarda l’area critica, al di là di Basilicata, Campania, Molise, Puglia e Sardegna, tutte superano la soglia del 10%, con la Provincia di Trento che si attesta al 24,4%.
“Aumentano gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Marco Mosti, direttore operativo della Fondazione – la cui media mobile a 7 giorni sale a 125 ingressi al giorno rispetto ai 100 della settimana precedente”. Anche se l’impatto sui ricoveri in area medica e in terapia intensiva viene ‘ammortizzato’ dalle coperture vaccinali – conclude Cartabellotta – di fatto l’enorme numero di casi, in crescita vertiginosa, “sta portando ad una silenziosa e pericolosa congestione degli ospedali che, oltre a ridurre le capacità assistenziali verso pazienti non Covid-19 e a mettere a dura prova la resilienza di professionisti e operatori sanitari, rischia di mandare in tempi brevi diverse Regioni in zona arancione e nel medio periodo qualcuna in zona rossa”.