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Covid, la sperimentazione di Regione Lombardia per portare in Africa un milione di dosi di vaccino

“Che cosa facciamo perché si possano vaccinare anche in Africa?”.

Questa domanda, che mi ha raggiunto sul sito di Vivere con Lentezza, non ha solo un risvolto umanitario, ma riguarda anche la nostra salute viste le innumerevoli varianti provenienti da paesi dove è difficile se non impossibile vaccinarsi.

Così, a caccia informazioni, mi sono rivolto al Cesvi e ho conosciuto Roberto Moretti, classe 1961, Bergamo, medico, e la sua bella storia. Ma andiamo con ordine. Moretti, che vive ad Albino, all’imbocco della Val Seriana, ha combattuto in prima linea a Bergamo il Covid come direttore delle Cure Primarie alla Ats di Bergamo, ha alle spalle esperienze di lotta alla Tubercolosi, all’Hiv e all’Ebola nel continente africano (Zimbabwe, Congo RDC, Mali, Mozambico, Niger, Uganda, Malawi, Libia) ed è reduce in questi giorni da una trasferta a Freetown, la capitale della Sierra Leone, dove con un gruppo ristretto di colleghi “che capiscono di Africa” capitanato da Agostino Miozzo, coordinatore del Cts a inizio pandemia, assieme a Thea Scognamiglio dell’Areu (Agenzia Regionale Emergenza Urgenza), Davide Zenoni, farmacista Asst Nord, e Roberto Tansini, logista Areu, sta mettendo a punto un piano di vaccinazioni da un milione di dosi.

Si tratta di una sperimentazione della Regione Lombardia (quella che proprio un anno fa ha cambiato in corsa l’assessore alla sanità per manifesta inadeguatezza) che per uno strano gioco del destino ha un punto di forza proprio a Bergamo, “precipitata a marzo 2020 nelle spire mostruose della pandemia, pur di evitare la Zona Rossa che avrebbe bloccato macchinari e produzioni” come racconta Massimo Arcidiacono (Il terzino cannoniere, vita di Giacinto Facchetti da Treviglio, Bg).

La prima fase del progetto è consistita nella preparazione e formazione di medici e personale sanitario in loco (120 persone), infatti senza questo approccio qualsiasi conferimento di vaccini andrebbe a vuoto. Le tecnologie e le strutture ci sono, come spiega Moretti, trattandosi di una zona colpita da Ebola, il cui vaccino deve essere conservato a -80°C. Il vero problema è stato di carattere organizzativo e formativo una volta reperito il personale e i fondi necessari a retribuirlo (anche da noi i vaccinatori lo sono); tra dieci giorni si riparte per Freetown, per iniziare con i vaccini già disponibili, da quello cinese e russo a quelli più in uso da noi, per poi passare a quelli forniti dalla Regione Lombardia.

Si tratta probabilmente di una sperimentazione per ora unica, poiché non si limita a fornire vaccini – cosa che altre sperimentazioni stanno portando avanti – ma soprattutto si prefigge di far sì che i vaccini vengano realmente utilizzati evitando che accada quanto visto con la dimenticata “Suina”, in cui milioni di vaccini inutilizzati dal nostro paese presero varie direzioni sconosciute ai più.