Prima di fare il filosofo e l’insegnante sono stato un tennista agonista. Ben lontano dal livello dei giocatori professionisti, ma comunque con una classifica adeguata a farmi conoscere i meccanismi principali di questa splendida disciplina sportiva.

Ancora oggi non ho alcuna difficoltà ad affermare senza alcuna retorica che, per quanto concerne la conduzione della mia vita quotidiana (sia a livello individuale che sociale), sono molto più debitore nei confronti del tennis che dei grandi pensatori o dei molti libri che ho letto. Parafrasando indegnamente il grande Shakespeare, posso affermare enfaticamente che ci sono più cose nel tennis di quante uno ne possa sognare nella propria filosofia. Non solo, e non tanto, perché si tratta di uno sport che richiede una disciplina mentale ed emotiva assoluta, al punto che – come si usa dire nell’ambiente – qualcuno la partita può averla già persa prima di entrare in campo, magari anche con un avversario molto meno forte. Ma anche, e forse soprattutto, perché si tratta probabilmente dell’unica pratica sportiva in cui l’atleta è nello stesso tempo – e così perfettamente – solo nel campo ma anche connesso all’avversario.

Sei solo e in preda a ogni mostro della mente nella tua parte del campo, ma al tempo stesso devi adeguare al millesimo ogni tuo colpo a quello che sta facendo il tuo avversario nell’altra metà di campo, mentre anche lui è in preda a qualsiasi tranello e cedimento della psiche. Credo di non aver parlato mai così tanto da solo come su un campo da tennis. Mi chiamavo per nome e, spesso, me ne dicevo di tutti i colori. Ero il primo avversario da battere, il primo “cacadubbi” da superare, ma anche l’unica persona che potesse davvero ascoltarmi e, in questo, sostenermi.

È stata una follia propria della modernità quella di considerare disturbato colui che “parla da solo”, perché se è vero che uno può parlare con Dio, ma nel caso in cui ricevesse risposta potrebbe aver bisogno di un bravo terapeuta, è ancor più vero che l’arte di saper parlare con se stessi è quella che maggiormente può farti evitare di ricorrere a quel dottore. Non a caso Platone definiva la filosofia come “il dialogo dell’anima con se stessa”, perché ognuno di noi costruisce anzitutto con se stesso quei pensieri strutturati che poi gli permetteranno di affrontare la grande avventura della vita nella maniera più sana ed equilibrata possibile.

Potrei continuare per molto, ma non ho tutto questo spazio a disposizione né voglio abusare della pazienza di chi legge. Quindi vado ad alcuni aspetti meno filosofici e più sostanziali di questo sport, ben sapendo che le due dimensioni sono strettamente intrecciate. Troppo spesso si dimentica, o si sminuisce, il fatto che i tennisti si arbitrano da soli fino alla serie B. Ogni giocatore è giudice indiscutibile della propria metà di campo. Il tuo avversario è anche la persona di cui devi fidarti di più, perché è lui a stabilire se la tua pallina è dentro o fuori delle righe. Può sembrare paradossale, e in parte lo è, ma la dice lunga sull’essenza di questo sport. Se per sbaglio colpisci l’avversario con la pallina, o vinci il punto a causa di un colpo fortuito, il tennista si sente subito in dovere di scusarsi. Anche questo è paradossale: hai un solo avversario e un solo obiettivo (vincere), eppure se colpisci quell’avversario o gli strappi un punto in maniera fortuita devi scusarti.

Non ho lo spazio per dilungarmi, ma fra quello che ho detto prima e ciò che ho ricordato adesso, credo si capisca chiaramente come il tennis è forse lo sport umanistico per eccellenza. Nel bene come nel male, l’uomo e la sua dignità sono al centro del perimetro di gioco. Qualunque sia il risultato finale. Una bella metafora della vita.

Ma una bella metafora può trasformarsi nella più brutta, qualora il numero 1 al mondo di questo sport decidesse con un solo gesto di infrangere quella filosofia nella maniera più indegna. Sì, Novak Djokovic, con la sua intenzione di voler partecipare agli Australian Open malgrado non sia vaccinato, non solo ha offeso ogni uomo, pretendendo che la “legge” torni a essere “privilegio” come accadeva nel Medioevo. Non solo ha offeso la comunità umana tutta, pretendendo di essere trattato diversamente da tutti gli altri in virtù della sua condizione sociale. Non solo ha offeso tutti quei bambini e ragazzi che guardano a lui come un modello di sportivo e di uomo, ritrovandosi un ragazzotto arrogante e incapace di essere di esempio anche a se stesso.

Ma ha offeso anche quel nobile sport a cui deve tutto. Pretendendo di essere arbitro della sua metà campo ma anche di quella dell’avversario. Gli auguro che il bambino tennista che ancora abita in lui, da qualche parte, gli ricordi l’altra opzione fantastica che questo sport ti insegna e con cui ti marchia l’anima: chiedere scusa.

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