Musica

Sick Luke: “Ero un piccolo alieno, nessuno mi voleva, l’hip hop mi ha salvato. Dopo il boom con la Dark Polo Gang, mi sono aperto al mondo”

Uno dei producer più talentuosi d'Italia ha deciso di passare dall'altra parte della barricata e di cimentarsi con il primo album “X2”, chiamando a raccolta oltre 35 artisti per 17 brani inediti, nati dopo due anni di lavoro. Nato a Londra, ha vissuto a Los Angeles e poi a Centocelle. Da bambino era “un piccolo alieno” poi il riscatto

di Andrea Conti

È il 27enne Sick Luke, vero nome Luca Antonio Baker, ad aprire le danze della discografia musicale italiana del 2022. Il suo primo album “X2” (etichetta Carosello Records, distribuzione Virgin/Universal) è il primo uscito quest’anno ed è un fantastico viaggio musicale, senza barriere, in 17 tracce e oltre 35 artisti coinvolti. Sick Luke ha fatto come Kanye West che, ad un certo punto della sua carriera di producer, ha deciso di passare dall’altra parte della barricata. Due anni di lavoro, 5mila beat nel cassetto e un grande lavoro musicale per mettere assieme artisti diversi, qualsiasi tipo di genere musicale e ridisegnare il mondo urban. Sick Luke lo aveva già fatto con successo con la Dark Polo Gang, ora lancia il suo messaggio d’amore alla musica che lo ha salvato da bambino, quando si sentiva un alieno. Del resto buon sangue non mente, è il figlio di Duke Montana.

“Devi crescere, sempre! Prima o poi, l’obiettivo si centra”. È la filosofia di base che ti ha portato fino a qui?
Per fare un disco del genere dovevo crescere anche di testa perché solo qualche anno fa non avrei mai fatto un disco del genere. Ero molto più chiuso e rimanevo nel recinto della mia gang. Adesso mi sono aperto a tantissimi artisti diversi con cui non avrei mai pensato di collaborare. Il progetto con Mecna (“Neverland” del 2019, ndr) mi ha aperto totalmente la mente e mi ha fatto cambiare il modo di guardare la musica.

Cosa rappresenta per te il titolo “X2”?
Mi rappresenta tantissimo perché nel nostro slang vuol dire Sick Luke moltiplicato per due e poi anche perché questo album si divide in due tra l’oscurità e la luce. Un po’ lo yin e yang che rappresenta bene chi sono io. Non a caso il mio simbolo è il “farfastrello”, una figura a metà tra la farfalla e il pipistrello. Anche se io sono più dark come il pipistrello perché la farfalla vive un solo giorno e poi muore (ride, ndr).

Non manca davvero nessuno in questo disco da Fabri Fibra a Sfera Ebbasta. Hai ricevuto qualche no?
Sì. Non faccio nomi, non si sa mai. Alcuni avevano delle cose da fare altri proprio hanno rifiutato.

“Libertà” è in duetto con tuo papà che ti ha supportato e insegnato la disciplina. Qual è il messaggio?
L’ho voluto fortemente nel mio album perché è lui che mi ha fatto entrare nel mondo della musica. Parliamo di cose serie e mandiamo un messaggio importante. Voglio che la gente capisca da dove vengo, cosa ho passato, dove sono adesso, voglio che la gente capisca anche mio padre e quello che ha vissuto. Canta molte più barre di me non a caso (Ho dato tanto, la gente mi ha levato tanto, me movo da solo er cerchio s’è ristretto, ndr).

Nel nuovo singolo “Solite Pare” ci sono il giovane fenomeno degli ultimi anni tha Supreme e una certezza come Sfera Ebbasta. Cosa ti ha colpito di loro?
Sfera mi ha colpito sin dal primo giorno in cui l’ho conosciuto, nel 2015: ha sempre creduto in sé stesso, non ha mai preso una pausa e ha sempre lavorato. Lo stimo molto. Tha Supreme l’ho conosciuto prima che esplodesse ed è un talento vero, ha un approccio musicale pazzesco. Poi è velocissimo nel lavoro.

Hai lavorato con tantissimi artisti di successo da Ghali a Fabri Fibra che hanno avuto fiducia in te. Hai fatto fatica a conquistare la loro fiducia?
Nella maggior parte dei casi la loro fiducia è stata incondizionata, ci sono stati dei casi invece in cui si sono presi del tempo prima di affidarsi. Per esempio per il brano ‘Dream Team’ con Pyrex, Capo Plaza, Tedua & Shiva. Erano un po’ straniti all’inizio quando ho detto a loro di incidere le strofe a due a due, una cosa che in Italia non si fa mai. Si sono convinti e infatti il pezzo è fortissimo, sono sicuro che piacerà parecchio perché sarà difficile capire chi sta rappando. Poi è successo anche che proponessi delle combo che nessuno si aspettava. È accaduto con Cosmo che si è mostrato titubante quando gli ho proposto di incidere con Pop X (in “Funeral Party”, ndr) perché e un artista un po’ particolare, ma alla fine mi ha dato fiducia e il pezzo è bellissimo.

Cosa hai assorbito da ognuno degli artisti con cui hai lavorato?
Lavorare con i più grandi artisti italiani mi ha spronato a far più cose e spaccare di più. Prima di incontrarli avevo sempre lavorato solo con la Dark Polo Gang. Ad un certo punto mi sono accorto che si poteva anche lavorare con altri artisti e ho preferito aprirmi totalmente e sperimentare. Scrivo tantissima musica, in cantiere ho 5mila beat. Sono davvero aperto a sperimentare.

Gran parte del tuo successo come producer nasce con la collaborazione con la Dark Polo Gang. Cosa ti ha regalato dal punto di vista professionale e umano quella esperienza?
Mi ha fatto diventare quello che sono a livello di attitudine, moda, modo di spingere sui social, tutto quel linguaggio lì mi ha plasmato. Stare in gruppo mi ha formato. Se non li avessi incontrati forse oggi sarei un po’ più “tranquillo”, invece sono bello coatto (ride, ndr).

Nel disco c’è anche Tony Effe condannato ai lavori sociali e a una multa di 40mila euro ad un fan che aveva aggredito nel 2019. Cosa ne pensi?
Quando mi ha raccontato quello che era successo pensai che la gente stava fuori di testa e poi gli dissi di stare attento perché questa persona lo avrebbe potuto denunciare. Poi infatti è stato condannato, ma che deve fare? Io però penso che certi fan, certa gente, pensa – sbagliando – di potersi permettere di fare qualsiasi cosa con gli artisti famosi. Tony è un essere umano come tutti, se vai li in dieci a rompergli le palle – quando forse quel giorno stava perso male per fatti suoi – può succedere di tutto.

È il solito tema del rapporto artista e fan. Ad esempio, qualche tempo fa Madame invitò i fan a non disturbarla se era con la famiglia al ristorante. Che ne pensi?
Il fatto è che dipende sempre come il fan chiede le cose. Se chiedi la foto in modo sbagliato, ad esempio, se ti si avvicinano già con il telefonino in mano pronti a scattare all’improvviso, magari quello non è il momento giusto. Bisogna sempre ringraziare chi ti supporta perché ti danno da mangiare, però ci sono certi giorni in cui ti ‘rode il culo’ e arrivano nel momento sbagliato, senza capirlo e chiedono sempre e solo la foto. Tanti artisti si incazzano per questa cosa.

Sei nato a Londra poi sei andato a Los Angeles, a nove anni che con papà e nonno ti sei trasferito alla casa/portineria di un palazzo di Centocelle. Che bambino eri?
Un bambino che non c’entrava nulla col mondo del rap. Un ragazzino che non parlava l’italiano e se lo parlava lo faceva malissimo con la erre moscia, anche se ancora oggi sbaglio dei verbi, ma vabbè il messaggio arriva comunque. Ero un piccolo alieno che girava con il cappello piatto e gli dicevano ‘ah ti posso appoggiare il bicchiere sopra?’… Non sono mai stato testa calda, ma positivo. Quando ho iniziato ad avvicinarmi all’hip hop, da piccolo, è stato strano perché nessuno lo ascoltava in quel momento. Ascoltare quella musica mi ha fatto diventare quello che sono oggi: un po’ coatto (ride, ndr).

Eri un “alieno” perché avevi difficoltà a relazionarti con gli altri?
Sì. Quando andavo al campetto dell’oratorio, mentre gli altri i ragazzi giocavano a calcetto – non mi voleva nessuno – io giocavo da solo a batti-muro con le cuffie, sempre da solo. Fino a quando sono entrato in contatto con altri coetanei che ascoltavano hip hop, dai Club Dogo a Caparezza, lì la svolta. Sono uscito dall’oratorio. L’hip hop nel 2008 mi ha salvato dall’isolamento.

A scuola come andavi?
Malissimo.

È vero che hai imparato l’italiano con Dragon Ball e Pokémon?
Verissimo. Dragon Ball lo guardavo spesso e mi ha insegnato l’italiano mentre Pokémon ha rappresentato per me il miglior passatempo del mondo.

Eri molto legato a tuo nonno, cosa ti ha insegnato?
Di fregarmene di quello che pensa la gente, andare avanti per la mia strada e lavorare sodo fino a quando non si arriva all’obiettivo della vita. Mio nonno era come un padre per me, mio padre era più simile a un fratello. Così come mia nonna per me è stata come una madre. Mio nonno ha spronato mio padre incoraggiandolo anche nella sua carriera. A volte però litigavano quando lo rimproverava che non c’erano soldi a casa, ma alla fine lo spingeva a non mollare la musica.

Hai oltre 700mila follower su Instagram curato con un certo senso estetico, ma della tua vita privata non si sa nulla. È voluto?
Cerco sempre di tenere lontana la mia vita privata perché preferisco spingere l’aspetto musicale. E poi i fan ci rimarrebbero male se scoprissero certi aspetti della mia vita privata (ride, ndr). Ma chissà un giorno racconterà tutto in un libro. Ho tante cose da raccontare.

Cosa fai nel tempo libero?
Vado in palestra, gioco a calcio, alla play, queste cose qua. Sono molto ‘sano’ a parte la playstation.

Sei rimasto sempre un piccolo alieno?
Un po’ sì. Solo che ora a calcio gioco sempre in prima fila e corro tantissimo!

Hai detto che sei bianco o nero. Sono più i momenti che il nero ha il sopravvento sul bianco?
Sì decisamente. Quando succede cerco di concentrarmi solo sui pensieri positivi.

Cosa insegneresti a un ragazzino che vuole affacciarsi al mondo della produzione?
Usare come strumento di conoscenza YouTube, imparare dai più grandi che ce l’hanno fatta e trarre ispirazione da quei 3-4 produttori e studiare tutto di loro. Io, ad esempio, ho imparato che in tanti hanno lasciato la scuola per concentrarsi al massimo sulla carriera, molti hanno ascoltato tutta la musica possibile e immaginabile e hanno imparato anche altri strumenti. Io ho fatto così.

C’è un artista, anche lontano dal tuo mondo, con cui vorresti collaborare per un disco?
Elisa, mi piacerebbe molto.

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