Giuseppe Dossena, detto Beppe, non ha bisogno di presentazioni. Con una laurea in scienze politiche in tasca, nella vita ha fatto un po’ di tutto e sempre piuttosto bene: è stato campione del Mondo in Spagna nel 1982 con l’Italia di Bearzot, ha tentato l’avventura in politica candidandosi alle elezioni del 1987 tra le fila del PSI, e negli ultimi tempi si è fatto apprezzare come opinionista in Rai. Soprattutto, però, è uno degli unici due tecnici italiani ad aver partecipato ad una Coppa d’Africa da protagonista, guidando il Ghana fino ai quarti di finale nell’edizione del 2000, la stessa in cui il compianto Franco Scoglio portava la Tunisia in semifinale, gettando le basi per il successo di quattro anno più tardi. Dossena in Africa ha allenato anche squadre di club come i libici dell’Al-Ittihad e gli etiopi del St. George’s, ma la sua prima esperienza in questo meraviglioso ed enigmatico continente è stata quella sulla panchina della nazionale ghanese. Un’avventura indimenticabile. “Quando mi è stata proposta la possibilità di allenare in Africa ho subito accettato, anche perché sono una persona molto curiosa: storia e geografia erano le due materie che a scuola mi tenevano incollato al banco”, ricorda a ilfattoquotidiano.it.
“In Ghana sono arrivato nel 1998. Ho allenato l’Under 17, l’Under 20 e l’Under 23. Con le selezioni U-17 e U-20 ho vinto sempre la Coppa d’Africa di categoria, e con l’Under 17, in cui c’era un certo Essien, siamo arrivati terzi al Mondiale di categoria nel 1999 in Nuova Zelanda. Uscimmo in semifinale con la Spagna di Xavi e Casillas dopo una lunga e sfortunata lotteria dei rigori, conclusasi solo dopo dieci tiri dal dischetto”, continua. A lui era stato affidato il compito di svezzare un’intera generazione di talenti ghanesi, costruendo le Black Stars del futuro sin dalle fondamenta. Una missione sicuramente stimolante, ma anche molto impegnativa e per certi versi totalizzante. “In quel periodo ho vissuto ad Accra, una città fantastica, sempre piena di turisti, tant’è vero che c’era sempre un gran via vai di voli Alitalia. Il Ghana è sempre stato un posto tranquillo. Per dire, in spogliatoio musulmani e cristiani pregavano insieme. E poi avevo una signora che mi preparava sempre la pasta e la pizza, facendomi in qualche modo sentire a casa”, racconta con un filo di commozione. “Inoltre – continua – io giravo in lungo e largo il Paese per guardare gare di campionato e selezionare giocatori per la nazionale”.
Un campionato all’epoca molto valido, una vera e propria fucina di talenti: “Il campionato ghanese è molto competitivo, di altissimo livello. Tant’è vero che, per le mie nazionali, ho sempre attinto parecchi giocatori dalla lega locale. Gente poi esplosa in Europa come Appiah, Kuffour ed Essien“. Oltre ai successi con le selezioni giovanili, Dossena si è tolto discrete soddisfazioni anche con la nazionale maggiore. Nel 2000, ad esempio, ha traghettato le Black Stars sino ai quarti di finale, venendo poi sconfitto dal Sudafrica. “Giocammo a Kumasi, nel nord del Paese, contro un Sudafrica all’epoca molto forte. Eppure, nonostante l’eliminazione, i tifosi ci accolsero calorosamente. Credo che questo certifichi meglio di ogni altra cosa la bontà del lavoro svolto in quegli anni “, spiega. Nonostante questo, a margine di un’esperienza formativa e tutto sommato positiva, a Dossena resta un unico cruccio. “Ho l’unico rammarico di non essere riuscito a qualificare le Black Stars al Mondiale. Anche perché avevamo cominciato bene, con un 5-0 alla Sierra Leone, ma poi non ho potuto terminare quell’avventura perché mi era scaduto il contratto“. Del resto in quel periodo non era così semplice strappare il pass iridato: “Ho avuto solo una grande sfortuna, probabilmente: i miei anni alla guida del Ghana sono coincisi con il grande boom di Nigeria e Camerun“.
Belli sono anche i ricordi di un altro italiano che ha sperimentato in prima persona il magico microclima della Coppa d’Africa: l’arbitro Domenico Messina. Ex direttore di gara internazionale, nonché designatore arbitrale di serie A dal 2014 al 2017, il fischietto di Cava de’ Tirreni ha diretto tre gare della Coppa d’Africa 2002, tra cui un indimenticabile quarto di finale tra Senegal e Repubblica Democratica del Congo. Un’esperienza unica, soprattutto dal punto di vista umano: “Andare in un contesto totalmente differente rispetto a quello italiano, o comunque europeo in generale, è stato sicuramente molto bello. Peraltro in un Paese come il Mali, tra i più poveri al mondo, che aveva fatto un grandissimo sforzo per ospitare il torneo, costruendo praticamente tutti gli stadi in pochi mesi grazie all’aiuto dei cinesi“, racconta. Un particolare, quello degli stadi, che gli è rimasto particolarmente scolpito nella memoria: “Sembravano stadi fotocopia, fabbricati in serie, esattamente identici. Un qualcosa di straniante“.
Stadi anonimi e temperature incandescenti a parte, l’altra grande difficoltà per Messina è stata quella di riuscire a capire come calarsi adeguatamente nel contesto africano da un punto di vista disciplinare: “In Coppa d’Africa ho trovato livelli di fisicità e di ardore agonistico molto superiori a quelli espressi nelle competizioni europee. Io cercavo di approcciare le partite con un modello all’italiana, cercando di prevenire alcune situazioni di gioco e quindi mostrando una maggiore severità rispetto ad altri arbitri locali”, spiega. “Ricordo – prosegue – che chiudevo partite con sei o sette ammonizioni, mentre alcuni miei colleghi africani, chiamati magari a dirigere gare più turbolente rispetto alle mie, arrivavano al novantesimo con solamente uno o due gialli estratti”. L’ultimo ricordo di quell’avventura africana, però, è anche il più triste: “Prima del quarto con il Senegal, scambiai quattro chiacchiere con Jason Mayélé, congolese che all’epoca giocava in Italia, al Chievo Verona. Mi dispiacque molto sapere che, pochi mesi più tardi, quel ragazzo morì in un tragico incidente automobilistico“.
Messina è stato il primo è anche l’unico arbitro italiano finora impiegato in Coppa d’Africa. Ma non è detto che in futuro non si possa ripresentare una opportunità di questo tipo per un fischietto nostrano, o comunque europeo. Il motivo è semplice: “Dietro ci sono sempre degli accordi, tipo scambi, tra le varie confederazioni. Adesso la CAF dovrebbe averne stretto uno con la CONCACAF, perché nella rosa dei fischietti per la Coppa d’Africa c’è un arbitro guatemalteco e un addetto VAR messicano”, chiarisce Messina, prima di tornare al suo nuovo incarico di osservatore arbitrale di A e UEFA.
HomeSport Calcio
Coppa d’Africa al via, gli italiani che l’hanno vissuta | Beppe Dossena: “Indimenticabile”. L’arbitro Messina e “gli stadi del Mali tutti uguali”
L'ex calciatore e l'attuale osservatore arbitrale di A e Uefa raccontano a ilfattoquotidiano.it la loro esperienza nel continente africano. L'ex ct del Ghana: "Ricordo dolcissimo, peccato non aver portato il Ghana ai mondiali". Il direttore di gara: "Non facile arbitrare partite con un simile ardore agonistico"
Giuseppe Dossena, detto Beppe, non ha bisogno di presentazioni. Con una laurea in scienze politiche in tasca, nella vita ha fatto un po’ di tutto e sempre piuttosto bene: è stato campione del Mondo in Spagna nel 1982 con l’Italia di Bearzot, ha tentato l’avventura in politica candidandosi alle elezioni del 1987 tra le fila del PSI, e negli ultimi tempi si è fatto apprezzare come opinionista in Rai. Soprattutto, però, è uno degli unici due tecnici italiani ad aver partecipato ad una Coppa d’Africa da protagonista, guidando il Ghana fino ai quarti di finale nell’edizione del 2000, la stessa in cui il compianto Franco Scoglio portava la Tunisia in semifinale, gettando le basi per il successo di quattro anno più tardi. Dossena in Africa ha allenato anche squadre di club come i libici dell’Al-Ittihad e gli etiopi del St. George’s, ma la sua prima esperienza in questo meraviglioso ed enigmatico continente è stata quella sulla panchina della nazionale ghanese. Un’avventura indimenticabile. “Quando mi è stata proposta la possibilità di allenare in Africa ho subito accettato, anche perché sono una persona molto curiosa: storia e geografia erano le due materie che a scuola mi tenevano incollato al banco”, ricorda a ilfattoquotidiano.it.
“In Ghana sono arrivato nel 1998. Ho allenato l’Under 17, l’Under 20 e l’Under 23. Con le selezioni U-17 e U-20 ho vinto sempre la Coppa d’Africa di categoria, e con l’Under 17, in cui c’era un certo Essien, siamo arrivati terzi al Mondiale di categoria nel 1999 in Nuova Zelanda. Uscimmo in semifinale con la Spagna di Xavi e Casillas dopo una lunga e sfortunata lotteria dei rigori, conclusasi solo dopo dieci tiri dal dischetto”, continua. A lui era stato affidato il compito di svezzare un’intera generazione di talenti ghanesi, costruendo le Black Stars del futuro sin dalle fondamenta. Una missione sicuramente stimolante, ma anche molto impegnativa e per certi versi totalizzante. “In quel periodo ho vissuto ad Accra, una città fantastica, sempre piena di turisti, tant’è vero che c’era sempre un gran via vai di voli Alitalia. Il Ghana è sempre stato un posto tranquillo. Per dire, in spogliatoio musulmani e cristiani pregavano insieme. E poi avevo una signora che mi preparava sempre la pasta e la pizza, facendomi in qualche modo sentire a casa”, racconta con un filo di commozione. “Inoltre – continua – io giravo in lungo e largo il Paese per guardare gare di campionato e selezionare giocatori per la nazionale”.
Un campionato all’epoca molto valido, una vera e propria fucina di talenti: “Il campionato ghanese è molto competitivo, di altissimo livello. Tant’è vero che, per le mie nazionali, ho sempre attinto parecchi giocatori dalla lega locale. Gente poi esplosa in Europa come Appiah, Kuffour ed Essien“. Oltre ai successi con le selezioni giovanili, Dossena si è tolto discrete soddisfazioni anche con la nazionale maggiore. Nel 2000, ad esempio, ha traghettato le Black Stars sino ai quarti di finale, venendo poi sconfitto dal Sudafrica. “Giocammo a Kumasi, nel nord del Paese, contro un Sudafrica all’epoca molto forte. Eppure, nonostante l’eliminazione, i tifosi ci accolsero calorosamente. Credo che questo certifichi meglio di ogni altra cosa la bontà del lavoro svolto in quegli anni “, spiega. Nonostante questo, a margine di un’esperienza formativa e tutto sommato positiva, a Dossena resta un unico cruccio. “Ho l’unico rammarico di non essere riuscito a qualificare le Black Stars al Mondiale. Anche perché avevamo cominciato bene, con un 5-0 alla Sierra Leone, ma poi non ho potuto terminare quell’avventura perché mi era scaduto il contratto“. Del resto in quel periodo non era così semplice strappare il pass iridato: “Ho avuto solo una grande sfortuna, probabilmente: i miei anni alla guida del Ghana sono coincisi con il grande boom di Nigeria e Camerun“.
Belli sono anche i ricordi di un altro italiano che ha sperimentato in prima persona il magico microclima della Coppa d’Africa: l’arbitro Domenico Messina. Ex direttore di gara internazionale, nonché designatore arbitrale di serie A dal 2014 al 2017, il fischietto di Cava de’ Tirreni ha diretto tre gare della Coppa d’Africa 2002, tra cui un indimenticabile quarto di finale tra Senegal e Repubblica Democratica del Congo. Un’esperienza unica, soprattutto dal punto di vista umano: “Andare in un contesto totalmente differente rispetto a quello italiano, o comunque europeo in generale, è stato sicuramente molto bello. Peraltro in un Paese come il Mali, tra i più poveri al mondo, che aveva fatto un grandissimo sforzo per ospitare il torneo, costruendo praticamente tutti gli stadi in pochi mesi grazie all’aiuto dei cinesi“, racconta. Un particolare, quello degli stadi, che gli è rimasto particolarmente scolpito nella memoria: “Sembravano stadi fotocopia, fabbricati in serie, esattamente identici. Un qualcosa di straniante“.
Stadi anonimi e temperature incandescenti a parte, l’altra grande difficoltà per Messina è stata quella di riuscire a capire come calarsi adeguatamente nel contesto africano da un punto di vista disciplinare: “In Coppa d’Africa ho trovato livelli di fisicità e di ardore agonistico molto superiori a quelli espressi nelle competizioni europee. Io cercavo di approcciare le partite con un modello all’italiana, cercando di prevenire alcune situazioni di gioco e quindi mostrando una maggiore severità rispetto ad altri arbitri locali”, spiega. “Ricordo – prosegue – che chiudevo partite con sei o sette ammonizioni, mentre alcuni miei colleghi africani, chiamati magari a dirigere gare più turbolente rispetto alle mie, arrivavano al novantesimo con solamente uno o due gialli estratti”. L’ultimo ricordo di quell’avventura africana, però, è anche il più triste: “Prima del quarto con il Senegal, scambiai quattro chiacchiere con Jason Mayélé, congolese che all’epoca giocava in Italia, al Chievo Verona. Mi dispiacque molto sapere che, pochi mesi più tardi, quel ragazzo morì in un tragico incidente automobilistico“.
Messina è stato il primo è anche l’unico arbitro italiano finora impiegato in Coppa d’Africa. Ma non è detto che in futuro non si possa ripresentare una opportunità di questo tipo per un fischietto nostrano, o comunque europeo. Il motivo è semplice: “Dietro ci sono sempre degli accordi, tipo scambi, tra le varie confederazioni. Adesso la CAF dovrebbe averne stretto uno con la CONCACAF, perché nella rosa dei fischietti per la Coppa d’Africa c’è un arbitro guatemalteco e un addetto VAR messicano”, chiarisce Messina, prima di tornare al suo nuovo incarico di osservatore arbitrale di A e UEFA.
Articolo Successivo
Coppa d’Africa al via | L’incredibile storia di Roberto Lopes, convocato nella nazionale di Capo Verde con un messaggio su Linkedin
I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.